lunedì 29 agosto 2016

Strani questi cristiani

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Il cardinal Giacomo Biffi sulla “stranezza” cristiana
I parenti dicevano: “È fuori di sé” (Mc 3,21), e cercavano di prenderlo e di toglierlo dalla circolazione. Gli scribi davano lo stesso giudizio, ma con una versione, per così dire, “teologica”, e dicevano: “È posseduto da uno spirito immondo” (Mc 3, 30).
Il discepolo vero e coerente di Gesù non dovrà allora meravigliarsi se riceverà le stesse incomprensioni che non sono state risparmiate al suo Maestro. Chi sta col Vangelo senza sconti e senza attenuazioni, e perciò parla di distacco dai beni, di valore della castità, di amore disinteressato, di matrimonio indissolubile, di assoluta onestà negli affari, di perdono dei nemici, di sofferenza accettata dalle mani di Dio, costui apparirà necessariamente al mondo di oggi come un personaggio strano, sprovveduto, pazzo… Dovremo tenerlo presente, quando ci sentiremo suggerire che bisogna adattare la religione agli usi e costumi dell’uomo di oggi; si tratta piuttosto di trovare all’uomo di oggi una testa che vada bene per il messaggio di Cristo.
(Stilli come rugiada il mio dire. Omelie per le Domeniche del Tempo Ordinario. Anno B, Bologna 2015, pp. 79-80)

Il cristiano sarà sempre eterogeneo e disadattato nel mondo. Non può pretendere di credere e proclamare cose così originali come quelle contenute nel suo “credo”, e di poter poi circolare tranquillamente in mezzo agli altri uomini. Chi professa la sua certezza che Gesù Cristo, un uomo morto duemila anni fa, oggi è vivo nel senso proprio e letterale del termine; chi si dice persuaso che un velo di pane sia, nell’Eucaristia, il corpo del Signore; chi va in giro a raccontare di avere in cuore per la vita di grazia la presenza della Trinità misteriosa e vivificante, non deve meravigliarsi se poi gli altri lo lasciano un po’ da parte… Il suo “ghetto” include il Regno dei Cieli, la sua “diversità” è consonanza con le schiere degli angeli, la sua “chiusura” si apre sulle praterie sconfinate della realtà invisibile ed eterna, il suo isolamento è comunione con le tre persone divine.
Sarà perciò opportuno versare le nostre lacrime non su chi resta “diverso”, ma su chi desidera a tutti i costi confondersi nella folla.
(Contro maestro Ciliegia. Commento teologico a “Le avventure di Pinocchio”, Milano 1977, p. 149)

È facile sentire la stanchezza e il peso di riuscire sgraditi.
Così può sorgere in noi la vocazione a evitare ogni contrasto, e quindi la tentazione di assimilarci a poco a poco alla mentalità della cultura prevalente; o quanto meno possiamo avvertire l’inclinazione ad ammutolirci sui temi scottanti, tanto per vivere e lasciar vivere in pace. Ma è una tentazione da respingere, un’inclinazione da non assecondare…
Talvolta abbiamo forse creduto che l’attenuare il nostro servizio alla verità e sostituirlo con uno stile di dire che evitasse ogni spiacevole contraddizione potesse servire a far conoscere e apprezzare la nostra sincera benevolenza verso tutti. In realtà, di solito è servito soltanto a persuadere gli altri che anche noi ci siamo ormai arresi, che la morale cristiana sia ormai cambiata, che la Chiesa non sia più impegnata sul fronte della verità; e questo è un malinteso che non giova né ai singoli né alla società dei nostri tempi.
Davvero l’amore per i nostri fratelli deve essere sempre la misura di ogni nostro atto e di ogni nostra parola; ma che sia l’amore autentico, l’amore serio, l’amore che vuole il vero bene della persona amata. Sotto l’ispirazione di questo amore noi dovremo avere sempre grande comprensione e misericordia per tutti, quali che siano le loro idee e i loro atti, e insieme grande fermezza nel richiamare quei princìpi di comportamento che soli possono offrire salvezza all’umanità.
(Ragione e vita. A che punto è la notte?, pp. 56-58)