domenica 23 ottobre 2016

La questione della scomunica

city-view-1427730_960_720


Da Padre Giovanni Cavalcoli
Nell’approssimarsi della visita del Santo Padre in Svezia il 31 c.m. per le celebrazioni luterane, larga parte del mondo cattolico, sottoposto all’azione convergente di lefevriani e modernisti, sembra esser preso da una specie di sovraeccitazione, per cui se ne sentono di tutti i colori.
Tra le varie inesattezze messe in giro dalla stampa, c’è quella domanda fatta da un giornalista al Papa sull’aereo durante il viaggio di ritorno dall’Armenia alcuni mesi fa, se il Papa avesse in mente di “togliere” la scomunica a Lutero.
Naturalmente il Papa non ha risposto ad una simile domanda, che, fatta da un giornalista, il cui articolo ha avuto larghissima diffusione, lascia trapelare una diffusa abissale ignoranza che circonda un tema così importante della disciplina ecclesiastica. Allora rispondiamo noi al posto del Papa.
Tanto per cominciare, diciamo col dire che è evidente che non ha senso togliere la scomunica a un defunto, perché essa valeva finchè egli era in vita, in un modo simile a quella che potrebbe essere la carcerazione. Altrimenti, sarebbe come ipotizzare che Silvio Pellico possa oggi essere dimesso dal carcere. Ormai, quel che è stato è stato, e un’idea del genere è semplicemente assurda.
Allo stesso modo è assurdo pensare che il Santo Padre possa togliere o annullare la scomunica che Papa Leone X lanciò a suo tempo a Lutero con ottime ragioni e che mai egli ritirò. Un Papa successivo può togliere la scomunica ad uno scomunicato da un Papa precedente; ma bisogna che lo scomunicato sia ancora in vita e che ci siano gravi ragioni per farlo.
La questione luterana sensata, quindi, che ci interessa e coinvolge tutti, non è tanto quella che si interroga sul fatto che Lutero sia stato scomunicato o perchè sia stato scomunicato o qual è stato il significato di questa scomunica. Certo, sono tutte questioni interessanti di carattere storico-giuridico, ma che hanno un senso di attualità, in quanto ci invitano ad interrogarci e a chiarire la natura della scomunica, nella sua differenza da altri atti disciplinari consimili, quali i suoi motivi e quali i suoi fini, visto che c’è oggi tanta ignoranza in materia.
In realtà, la questione viva, importante ed urgente, di carattere pastorale, ecumenico ed apologetico, è l’opportuno discernimento critico, che occorre sempre fare nei confronti delle dottrine di Lutero, così complesse e discusse nel corso di questi secoli che ci separano da lui.
Intendo tuttavia qui chiarire meglio la natura e il valore della scomunica e la sua differenza da un altro atto disciplinare della Chiesa, che è la censura di eresia, due atti spesso congiunti o congiungibili, ma alquanto diversi, che quindi è bene distinguere, perchè possono essere anche separati o separabili.
La scomunica è un atto che entra nel potere giurisdizionale della Chiesa, il cosiddetto “potere delle chiavi” (Mt 16,19), che non tocca il Magistero dottrinale (Lc 22,32), ma il governo e l’organizzazione pratico-pastorale della Chiesa. E’ un atto amministrativo o disciplinare, di per sé contingente e fallibile, della legittima autorità ecclesiastica, col quale essa espelle, eventualmente in modo coercitivo, dalla comunità visibile un fedele macchiatosi di un delitto o contro l’autorità o contro il bene della comunità.
Non basta un peccato qualunque, per quanto grave, per meritare un simile provvedimento, ma occorre un peccato contro il bene comune ecclesiale. Per questo, i divorziati risposati, per esempio, non sono scomunicati, perché il loro peccato non è contro la Chiesa, ma contro il matrimonio, anche se essi non sono in piena comunione con la Chiesa.
La scomunica è anche un atto che, nel contempo, è presa d’atto da parte dell’autorità, di un evidente ostinato rifiuto del soggetto di essere in comunione con la Chiesa. Il soggetto è sì espulso, ma perchè è lui stesso che si è messo nelle condizioni di esserlo, in quanto, con la sua condotta, si è volontariamente staccato o separato dalla comunione, o pretendendo di restare nella Chiesa, onorato e riverito, o scegliendo un altro ambiente, ostile alla Chiesa o fondando una setta nemica della Chiesa, magari atteggiandosi a “riformatore”. Il peccato che egli commette è un peccato contro la carità fraterna e l’unità della Chiesa.
E’ il cosiddetto peccato di “scisma”, dal gr.schizo=divido. E il responsabile di questo gesto è detto “scismatico” o dissidente. Diventa un “fratello separato”. Lo scismatico, oltre a lasciare la Chiesa, spesso causa e fomenta divisioni nella Chiesa e quindi si crea seguaci nello scisma.
Chi rovina la Chiesa subdolamente dal di dentro sembrando un profeta, un santo o un riformatore, può recar danno maggiore di chi le si oppone apertamente dal di fuori, perché mentre questo nemico è chiaramente riconoscibile, l’altro corrompe i fedeli senza che se ne accorgano. Per questo è bene che questo nemico nascosto sia messo in luce e cacciato.
La scomunica colpisce un cattolico, che, per il suo comportamento indisciplinato, si separa più o meno o in vari gradi o misure dalla comunione ecclesiale. Per questo si distingue una scomunica “maggiore” da una scomunica “minore”.
Questa toglie alcuni gradi di appartenenza alla Chiesa, come per esempio privilegi, uffici, titoli, benefici, residenza, proprietà ed ha funzione correttiva (I Tm 1,20), imponendo anche eventualmente penitenze; quella invece esclude totalmente dall’appartenenza alla comunità visibile ed ha una funzione penale (cf. Mt 18,17; I Cor 5,2; II Ts 3,6.14; Tt 3,10; II Gv 10).
Un tempo la scomunica maggiore era assai severa e frequente e, come si sa, giungeva fino alla pena di morte. Oggi la Chiesa comprende che, se è bene guardarsi e mettere in guardia i fedeli nei confronti del fratello eretico, falso profeta o falso riformatore, scismatico, settario, corruttore, pericoloso o scandaloso o che comunque reca danno alla Chiesa, occorre però assicurargli o permettergli sempre un ambente adatto, un giusto spazio di libertà, il riconoscimento e la valorizzazione di suoi diritti e lati buoni e, per quanto è possibile, mantenere un certo dialogo e una certa collaborazione, nella speranza che si ravveda e faccia penitenza. E’ chiaro che quindi la scomunica non può interessare un non-cattolico, che è già fuori della Chiesa.
Se un tempo l’autorità usava troppo spesso e con eccessiva severità lo strumento della scomunica, oggi essa, per una malintesa misericordia, che in realtà è debolezza, negligenza e connivenza, è troppo restia, con la conseguenza di creare nel popolo di Dio scandalo, sconcerto, smarrimento, equivoci, confusione e decadenza morale e dottrinale, mentre gli scomunicabili se ne avvantaggiano e i furbi ne approfittano. E si moltiplicano anche le ingiustizie e le disparità di trattamento: si proibisce la Comunione ai divorziati risposati e si danno prestigiose cattedre di teologia ad eretici.
Il semplice allontanamento di un fedele, da parte della Chiesa, dall’accesso al vertice visibile della comunione ecclesiale, che è dato dall’ammissione alla S.Comunione eucaristica, come avviene, per esempio, nel caso di divorziati risposati o degli iscritti alla massoneria, secondo le attuali leggi della Chiesa, non è ancora scomunica, almeno nel senso giuridico.
Esistono d’altra parte degli stati vita cristiana o apparentemente cristiana, detti “irregolari” per il fatto che il fedele, sempre che sia vero fedele, vive o esercita un’attività incompatibile con l’onestà cristiana ed è quindi scandalosa, come per esempio lo stato dei divorziati risposati, il concubinaggio, la sodomia, il meretricio o il favoreggiamento della prostituzione o il traffico di armi o della droga, la pratica abituale dell’aborto o della fecondazione artificiale, la magia, lo spiritismo, l’attività mafiosa, lo sfruttamento del lavoratore, il furto abituale, l’usura e simili.
In questi stati, per quanto moralmente pericolosi, non è detto che il soggetto sia sempre in peccato mortale, ma può essere ad intervalli anche in grazia. In questi casi la Chiesa provvede in vari modi e con vari mezzi pastorali o giuridici, si tratti o non si tratti della scomunica, a seconda delle necessità o delle convenienze, avendo sempre di mira la salvezza delle anime.
La comunione con la Chiesa va soggetta insomma ad una molteplicità di gradi, che vanno dai fondamentali – adesione ai misteri della SS.Trinità, dell’Incarnazione, della Redenzione e della Chiesa (protestanti e anglicani) – a quelli intermedi – i sacramenti e la mariologia (ortodossi) – fino al supremo, che è l’obbedienza al Papa. Il grado supremo è quello della fede del cattolico; gli altri due sono propri dei fratelli separati.
La scomunica, dunque, in linea di massima, non toglie totalmente dalla comunione ecclesiale e in particolare non è assolutamente un giudizio in foro interno. Lo scomunicato può essere innocente e in grazia di Dio. Essa separa dalla comunione visibile secondo una scala decrescente, a partire da un grado elevato, dove la comunione è quasi piena, allo zero, dove essa è totalmente assente. Quest’ultimo è il caso del credente, che ha perso totalmente la fede ed è caduto nell’apostasia, passando eventualmente ad un’altra religione o abbracciando l’ateismo o l’agnosticismo o una vita totalmente dissoluta.
Bisogna distinguere lo scomunicato e l’eretico dal fratello separato a cui si rivolge l’attività ecumenica. Il primo è un ex-cattolico; il secondo è un cristiano che non è mai stato cattolico. Il dialogo col primo può essere molto difficile, perché è stato allontanato dall’autorità o si è allontanato da sé proprio perchè è un rinnegato, un traditore, divenuto ostile al cattolicesimo. Facilmente il suo animo è rancoroso, aggressivo, amaro, invelenito e il suo anticattolicesimo è spavaldo, ingiusto e arrogante. Prendiamo per esempio soggetti come Hus, Wycliff, Lutero, Loisy, Buonaiuti, Tyrrell, Küng o Boff.
Diverso è il caso dei fratelli separati nati ed educati in un clima non cattolico, come per esempio Cullmann, Barth, Pannenberg, Moltmann, Ebeling, Von Rad, Max Thurian, Roger Schutz, Tillich, Ebner, Buber, Solgenitzin, Lossky, Florenskij, Berdiaev, Ciadaiev, Bulgakov, Soloviev e molti altri, spiriti aperti, equilibrati e sereni, siano protestanti o ebrei od ortodossi, con i quali è in corso o è stato condotto un dialogo ecumenico, che fa sperare in un avanzamento nel cammino dell’unità.
La scomunica scatta automaticamente o di diritto (lata sententia) o di fatto, anche se non per l’occasione (ferenda sententia) dal momento in cui il soggetto, come si è detto, danneggia gravemente il bene della Chiesa, fomenta scismi o disobbedisce al Sommo Pontefice non solo in materia di fede, ma anche di costumi – è il caso di coloro che si oppongono all’osservanza dei decreti del Concilio Vaticano II – o crea pregiudizio all’unità, alla pace e al buon ordine della società cattolica – è il caso degli affiliati alla mafia -, o si oppone all’esistenza stessa della Chiesa e della religione – è il caso di chi fa professione di comunismo ateo.
Chi cade nell’eresia è automaticamente scomunicato, almeno in foro interno, anche se non lo è ufficialmente, perchè non solo si oppone all’unità della Chiesa, ma anche a quella verità di fede, che sta a fondamento dell’unità e della carità ecclesiali. Viceversa, la Chiesa può limitarsi scomunicare un eretico, senza censurarlo di eresia.
E può giungere anche a togliere la scomunica, benchè il soggetto resti irretito dell’eresia, come fece il Beato Paolo VI col Patriarca Atenagora, il quale non rinunciò per nulla a tacciare il Filioque di eresia e non accolse affatto i dogmi mariani definiti dal Beato Pio IX e Pio XII, semplicemente perchè non riconobbe affatto il primato del Sommo Pontefice.
Dunque, nonostante l’abolizione reciproca delle scomuniche, sulla quale si fece una pubblicità esagerata, come se tutto fosse risolto, Costantinopoli non è tornata alla piena comunione con Roma e – quel che è più grave – dal punto di vista del dogma.
Così Benedetto XVI ha tolto la scomunica ai vescovi lefevriani, ma resta sempre il fatto che Mons. Lefebvre, col giudicare filoprotestante e contraria alla fede la Messa novus ordo, si è messo su questo punto contro la vera fede, benchè egli non sia stato ufficialmente censurato di eresia.
Nel caso dei massoni, si può pensare ad una scomunica di fatto, in foro interno data la ben nota opposizione della massoneria alla Chiesa. Bisogna infatti distinguere la scomunica ufficiale o canonica, in foro esterno, dalla scomunica di fatto. Uno può essere di fatto, in foro interno, fuori della Chiesa senza essere scomunicato ufficialmente, per vari motivi, come la sua capacità di fingere – vedi per esempio i farisei o gli ipocriti – o per inadempienza o negligenza o falsa prudenza da parte dell’autorità ecclesiastica. Non tutti gli scomunicabili sono di fatto scomunicati dall’autorità.
La tradizionale censura usata nei Concili del passato, “anàthema sit”, aggiunta ad una data proposizione condannata, non significa necessariamente l’eresia, ma sempre la scomunica per chi la pronuncia, ossia l’espulsione dalla comunità (cf Gv 9, 22.35 12,42; 16,2). “Anàtema”, in S.Paolo (Gal 1,8-9: I Cor 16,22), è l’ “escluso dalla comunità”, lo scomunicato.
Tuttavia, una scomunica può essere ingiusta: in tal caso è illegittima, invalida ed inoperante e lo scomunicato può non tenerne conto. E’ quello che successe a Gerolamo Savonarola e a S.Giovanna d’Arco. In questi casi non sono gli scomunicati che si sono separati dalla Chiesa, ma sono i Superiori, i quali, cacciandoli ingiustamente, hanno in realtà espulso se stessi, mossi non da motivi soprannaturali e vera carità, o da vero amore per la Chiesa, ma da malanimo o da interessi egoistici o di potere, inventando pretesti per dare una parvenza di legittimità ad un abuso di potere, o forse anche ingannati da false informazioni.
I veri scomunicati sono quindi i Superiori, i quali, avendo agito illegalmente o imprudentemente, si sono posti da sé fuori della Chiesa, anche se continuano ad esercitare l’autorità di prima.