sabato 17 dicembre 2016

18 dicembre. Commento all'antifona d'ingresso della IV domenica di Avvento

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Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada
e le nubi piovano il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore (Is 45,8).
I cieli narrano la gloria di Dio,
e il firmamento proclama le opere delle sue mani (Sal 18,2).

La IV domenica di Avvento fa già entrare la Chiesa nella memoria del mistero dell’incarnazione di Colui che «fu annunziato da tutti i profeti, la Vergine Madre l’attese e lo portò in grembo con ineffabile amore, Giovanni proclamò la sua venuta e lo indicò presente nel mondo» (Prefazio dell’Avvento II).
Nei giorni della sua carne, il Cristo ha manifestato «la bontà e l’umanità di Dio nostro Salvatore (Tt 3,4 Vlg.), che ha preso il volto di un figlio d’uomo. Ma l’antifona d’introito della liturgia di questa domenica trae dalla Scrittura un’immagine della natura, per cantare il mistero della Parola fatta carne, quasi che l’auto-manifestazione di Dio nel suo Figlio amato costituisca anche un evento cosmico che, mentre intreccia la storia di Dio e i cammini degli uomini, vi unisce anche l’universo creato, dalle profondità dei cieli agli ultimi orizzonti della terra.
La profezia poetica di Isaia (cf. Is 45,8) si veste così di melodia e musica nel Roráte, cæli, désuper: se l’antico profeta guardava alle vicende storiche di Israele e inneggiava alla giustizia e alla vittoria che Dio gli concedeva per mezzo di Ciro, identificato come l’«unto» del Signore e suo «cristo», in quanto strumento della sua opera salvifica, la Chiesa ha accolto le parole di Isaia in una profonda rilettura cristologica e mariologica, favorita anche dalle versioni latine della Bibbia, che giungono a personificare l’immagine astratta della «giustizia» e della «salvezza» nell’allusione a Colui che è il «Giusto» e il «Salvatore» per eccellenza, il Figlio dell’Altissimo, nato da Maria.
Il Dio che viene è come la rugiada, le cui gocce scendono dall’alto dei cieli, dalla dimora di Dio (cf. Sal 2,4; 122,12Cr 6,21;2Mac 3,39). Il Re Messia, infatti, «scenderà come pioggia sul vello di lana, e come gocce d’acqua stillanti sulla terra» (Descendet sicut pluvia in vellus, et sicut stillicidia stillantia super terramSal 71,6 Vlg). Il Veniente è come rugiada del mattino, come pioggia primaverile, feconda e benefica, che scende sull’erba tagliata, facendo fiorire le solitudini assolate del deserto e della terra arida. «Se il volto del re è luminoso, c’è la vita: il suo favore è come pioggia di primavera» (Prv 16,15). E i Padri della Chiesa si ricorderanno della rugiada discesa sul vello di Gedeone (cf. Gdc 6,37), preannuncio del Verbo intessuto nel grembo di Maria: «In essa come rugiada discesa dal cielo, si infuse tutta la pienezza della divinità di modo che da tale pienezza tutti noi ricevessimo grazia, noi che, senza di essa, non siamo altro che terra arida» (Bernardo di Clairvaux, Sermo II,7).
E al gocciare dei cieli, metafora del dono di Dio che scende e si spande, risponde la terra, nel dischiudersi della fioritura della vita. Il Salvatore germoglia dalla terra e «nei suoi giorni fiorirà il giusto e abbonderà la pace» (Sal 71,7), come la speranza dei profeti aveva intraveduto e cantato di lontano: «In quel giorno, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e il frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d’Israele» (Is 4,2), perché «un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» (11,1); dice infatti il Signore: «Ecco, verranno giorni nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra» (Ger 23,5); «Ecco un uomo che si chiama Germoglio: fiorirà dove si trova e ricostruirà il tempio del Signore» (Zac 6,12).
Così la manifestazione del Signore, nel Cristo «nato da donna, quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4,4), è opera del cielo e della terra, in un movimento di discesa e di ascesa che mostra la sinergia del divino e dell’umano, la condiscendenza del Padre che si piega sulla terra e suscita l’accoglienza amante di un «cuore dilatato», che si fa ascolto della Parola e accoglienza della sua Carne: «come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare – dice il Signore per bocca di Isaia –, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11).
«In questa notte di luce», allora, nella notte di Betlemme, il cielo e la terra si abbracciano «per questo misterioso scambio di doni», in questo admirabile commercium, e l’anelito dell’orante si compie per ogni creatura: «Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto. La terra ha dato il suo frutto. Ci benedica Dio, il nostro Dio» (Sal 66,2.7).
Così, dissetata dalla benedizione del cielo, l’umanità riscattata dal peccato e dalla morte, dalla tenebra e dalle lacrime, e insieme a lei tutto l’universo, potrà raccontare la luminosa presenza del Dio salvatore: «I cieli narrano la gloria di Dio, e il firmamento proclama le opere delle sue mani» (Sal 18,2), perché ros lucis ros tuus, «la Tua rugiada è rugiada di luce» (Is 26,19).