sabato 24 dicembre 2016

E Adamo iniziò a danzare...



L’incarnazione di Cristo, che ha interrogato e interroga cristiani e non credenti in una ricerca umana comune

Per il NataleInnumerevoli nel tempo sono state e sono le letture e le chiavi di lettura di fronte al mistero dell’incarnazione di Cristo, che ha interrogato e interroga cristiani e non credenti in una ricerca umana comune. Come mostrano i testi pubblicati in queste pagine: una meditazione di Antonella Lumini sui frutti della maternità divina; brani da due Inni alla Natività di sant’Efrem; i versi Da potenze benigne composti da Dietrich Bonhoeffer per il capodanno del 1945, mentre era nel carcere sotterraneo della Gestapo; un breve stralcio, dedicato al presepe, di Bariona, o il figlio del tuono. Racconto di Natale per cristiani e non credenti scritto da Jean-Paul Sartre nel 1940 per i compagni di prigionia nel campo di Treviri, e la recensione di Silvia Guidi a un libro che raccoglie testi sulla Natività dei padri della Chiesa.
Potenze benigne
di Dietrich Bonhoeffer 

Circondato fedelmente e tacitamente da benigne potenze,
meravigliosamente protetto e consolato,
voglio questo giorno vivere con voi,
e con voi entrare in un nuovo anno;
il vecchio ancora vuole tormentare i nostri cuori
ancora ci opprime il grave peso di brutti giorni.
Oh, Signore, dona alle nostre anime impaurite
la salvezza per la quale ci hai creato.
E tu ci porgi il duro calice, l’amaro calice
della sofferenza, ripieno fino all’orlo,
e così lo prendiamo, senza tremare,
dalla tua buona, amata mano.
E tuttavia ancora ci vuoi donare gioia,
per questo mondo e per lo splendore del suo sole,
e noi vogliamo allora ricordare il passato
e così appartiene a te la nostra intera vita.
Fa’ ardere oggi le calde e chiare candele,
che hai portato nella nostra oscurità;
riconducici, se è possibile, ancora insieme.
Noi lo sappiamo: la tua luce risplende nella notte.
Quando il silenzio profondo scende intorno a noi,
facci udire quel suono pieno
del mondo, che invisibile s’estende intorno a noi,
l’alto canto di lode di tutti i tuoi figli.
Da potenze benigne prodigiosamente protetti,
attendiamo consolati quello che accadrà.
Dio ci è al fianco alla sera e al mattino,
e certissimamente, in ogni giorno che verrà.
Come potrò?
di Dietrich Bonhoeffer

La mia bocca non sa
come io debba chiamarti,
o figlio del vivente.
Se ardisco chiamarti
figlio di Giuseppe
tremo,
perché non sei seme suo.
Ma di negare il suo nome
ho paura,
perché è a lui che sono data in sposa.
Sebbene tu sia figlio dell’Uno
ti chiamerò
figlio di molti,
poiché non sono sufficienti per te
miriadi di nomi:
tu sei figlio di Dio,
ma anche figlio dell’uomo,
e figlio di Giuseppe,
e figlio di Davide,
e figlio di Maria.
Come potrò aprire
la fonte del latte
a te, o fonte?
Come potrò dare
nutrimento
a te, che nutri l’universo
da ciò che viene dalla tua mensa?
Come potrò avvicinarmi
alle tue fasce
o tu rivestito di lampi?
È in quei momenti che dipingerei Maria
di Jean-Paul Sartre
Eccolo. Ecco la Vergine ed ecco Giuseppe ed ecco il bambino Gesù. L’artista ha messo tutto il suo amore in questo disegno ma voi lo troverete forse un po’ naïf. Guardate, i personaggi hanno ornamenti belli ma sono rigidi: si direbbero delle marionette. Non erano certamente così. Se foste come me, che ho gli occhi chiusi. Ma ascoltate: non avete che da chiudere gli occhi per sentirmi e vi dirò come li vedo dentro di me.
La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio.
Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei.
Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio.
Lo guarda e pensa: «Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia». E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive.
Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride. Questo è tutto su Gesù e sulla Vergine Maria.
E Adamo iniziò a danzare
di Silvia Guidi
«Gloria a colui che mai / poté essere misurato da noi. / Il nostro cuore è troppo piccolo per lui / e debole anche la nostra mente / la nostra piccolezza è disorientata / dalla ricchezza dei suoi discernimenti». Difficile trovare qualcosa più in controtendenza con la mentalità della nostra epoca di questi versi, tratti dall’Inno III sulla natività di Efrem il Siro, pubblicato nel libro La notte respira la sua luce. Poesie e canti di Natale dei Padri della Chiesa (Roma, Castelvecchi, 2016, pagine 145, euro 15) a cura di Alessandra Peri. Difficile trovare qualcosa di più lontano dall’immaginario interiore di un tempo che tende sempre a mettere Dio sul banco degli imputati, che fa del culto dell’autonomia il suo vangelo ma in realtà guarda con diffidenza al dono grandissimo e vertiginoso della libertà, e cerca di liberarsene in fretta.
La gioia del Natale, scrive Alessandra Peri, è gioia della salvezza. Il titolo stesso del libro, La notte respira la sua luce, ci parla di un provvidenziale intervento divino in arrivo proprio nel culmine delle tenebre. Non a caso, negli inni pubblicati nel volume uno dei temi più frequentemente ricorrenti è il ricordo del peccato originale; perché non è dato Natale senza Pasqua.
La Natività, si legge nell’introduzione al volume che raccoglie testi di Ilario di Poitiers, Ambrogio di Milano, Prudenzio, Germano di Costantinopoli, Cosma di Maiuna, e tanti altri, è il mistero dell’eternità che si riduce per rendersi piccola.
La tradizione patristica vedeva in Gesù la Parola breve, cioè colui che, mediante l’incarnazione, ha reso visibile e definitivamente comprensibile ciò che prima era sparso e ancora oscuro. Verbo brevissimum, “abbreviatissimo”, ma sostanziale, pieno di luce e di calore. «La fiamma abitò nella carne» scrive Isacco di Antiochia.
Non è dato Natale senza Pasqua, dicevamo. E i Padri della Chiesa ce lo ricordano, aiutandoci a guardare la storia dalla giusta prospettiva, per cogliervi i segni della presenza di Dio. Una presenza che nella grotta di Betlemme — nella luce che avvolge i pastori, nel giubilo che cantano gli angeli, nella stella che guida i Magi — parla già del sacrificio della Croce e della gloria della Resurrezione. Nella nascita di Gesù è già anticipata e prefigurata la Croce, il compimento della salvezza. Questo parallelismo tra la nascita e la morte di Gesù è presente già in Tertulliano, che nel De carne Christi 5,1 scrive: è forse saggezza che un Dio sia stato crocifisso? (...) Che cosa è più indegno di Dio, che cosa c’è da vergognarsi di più, nascere o morire? Portare la carne o la croce? Essere circonciso o inchiodato? Essere educato o sepolto? Essere deposto in una stalla o in un sepolcro?».
E allo stesso modo, sin dall’antichità, l’iconografia della Natività — soprattutto in Oriente — rappresenta la mangiatoia di Betlemme come una minuscola tomba, in cui è adagiato un bambino fasciato dalla testa ai piedi, come un corpo preparato per la sepoltura. E con una straordinaria somiglianza, nota Alessandra Peri nell’introduzione al libro, con l’iconografia della resurrezione di Lazzaro. È quanto prefigurato anche nei doni dei Magi, come canta Prudenzio nell’undicesimo dei suoi inni quotidiani: se l’oro è un omaggio alla regalità di Cristo e il profumo dell’incenso d’Arabia un simbolo della sua divinità, nella polvere di mirra c’è il presagio del sepolcro e della resurrezione, vittoria definitiva sulle catene della morte e del male.
«Oggi Eva più che Adamo grazie renda — scrive Giacomo di Sarug — perché da lei il fanciullo è nato che in fuga mette i dolori delle sue tristezze / Oggi il giardino gioisca con gli alberi suoi / poiché per te l’esule erede dell’Eden tornò, sua dimora». E Romano il Melode nel terzo Inno dichiara: «Adamo nostro progenitore danza di gioia / perché oggi è nato il Salvatore»; e ancora, nell’Inno sul Natale invita: Betlemme ha riaperto l’Eden, andiamo a vedere. Proprio a Romano si deve inoltre un’immagine assai originale con la quale si amplifica il tradizionale confronto Cristo nuovo Adamo e Maria nuova Eva: immagina che i due progenitori vadano in lacrime alla grotta dove la madre di Gesù sta cantando la ninna nanna al Bambino.
Lo stupore di Romano (ma anche di Efrem e degli altri Padri della Chiesa) verso l’eccesso di amore di Dio per noi risuona ancora, secoli più tardi, nelle parole di Bernardo di Chiaravalle: «Dio Padre ha abbreviato il suo Verbo. Volete sapere quanto era lungo e quanto lo ha fatto breve? Questo Verbo dice: io riempio il cielo e la terra; ora, fatto carne, è deposto in una stretta mangiatoia». Un tuffo nell’umano senza pre-condizioni, senza rete, esposto a ogni rischio. «Volle venire — è sempre Bernardo a parlare — chi poteva accontentarsi di aiutarci».
L'Osservatore Romano