sabato 25 marzo 2017

IV Domenica di Quaresima, Anno A — 26 Marzo 2017. Ambientale e commento al Vangelo.



Nella quarta Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il Vangelo del cieco nato. I discepoli chiedono a Gesù chi abbia peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco. Il Signore risponde:
“Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. E lo guarisce.
Nel Vangelo odierno Gesù afferma: tutto ciò che accade nella vita può essere al servizio del bene. Il cieco, infatti, è nato così perché si manifestino a tutti, attraverso la sua menomazione, l’amore e la potenza del Padre. Ma noi crediamo che i limiti, le sofferenze e le ingiustizie, nella storia di ciascuno, possano servire a Dio per rivelarsi? Oppure sono eventi casuali o frutto della cattiveria delle persone? La preparazione alla Pasqua può aiutarci a risolvere questo enigma: la parola del Salvatore, accolta dalla bocca dei suoi inviati, anche oggi può svelarci il nostro “fango” ed indurci alla conversione e alla richiesta di perdono, vera fonte di luce spirituale. Solo chi si lascia coinvolgere dal cammino quaresimale, nel riconoscere la propria miseria, può risorgere ad una vita nuova e vedere l’esistenza umana con altri occhi: quelli di Dio. Ci si accorge, così, della Provvidenza che ha cura di noi e scopriamo come i nostri limiti e difetti siano utili per il compimento della missione affidataci e quanto ogni umiliazione o tribolazione subita sia, in realtà, un’occasione d’oro per testimoniare Cristo. Chi, invece, al pari dei farisei, si considera una persona buona, che non fa del male a nessuno, è accecato dalla presunzione e rischia di non accogliere nella Chiesa i poveri che riacquistano la vista. (Sanfilippo)

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Gesù posa sulla nostra cecità lo sguardo del Padre


Una madre affranta dopo una visita dal ginecologo; la diagnosi è spietata, sindrome di down. Un padre con gli occhi rapiti nel vuoto,  seduto su una panca cercando nei ricordi suo figlio mentre correva dietro a un pallone.  Uno schianto, e ora è nella stanza a fianco, disteso sul letto che sarà tutta la sua vita. Un bambino zuppo di lacrime chiama la sua mamma abbracciando una bara.
Il fumo acre di polvere e fuoco sembra alzarsi nel cielo come mani in preghiera,  fin lassù, da dove son piovute le bombe su ospedali e scuole; e case, tante case, normali, con la cucina e la minestra sul fuoco, con il salotto e l’albero di Natale, con la stanza dei piccoli seminata di giocattoli. E in pochi secondi più nulla.
Perché? Perché proprio a me? Perché muoiono i bambini? Perché li rubano e li violentano? Perché mia moglie se n’è andata? Perché ho perso il lavoro? Perché il male? Di chi la colpa di tanto dolore?
Ecco, questa domenica, la domenica  “laetare” che innesca la gioia della Pasqua,  la Chiesa depone sull’uscio di queste domande una notizia sconvolgente, un Vangelo: c’è una risposta a ogni sussulto del male, dal più piccolo al più grande.
C’è una risposta alla libertà sporcata dall’orgoglio satanico; c’è una risposta a ogni dolore che il mondo non riesce a deglutire. C’è una risposta a tutto quello che non ha risposta: “chi ha peccato, lui o i suoi genitori”.
Tutti intuiamo che ci sia un’origine del male. Ma nessuna risposta, filosofica o religiosa che sia, ha mai convinto nessuno. Non lì, nell’intimo più profondo, dove in ogni uomo è deposto un granello di vita eterna che non sa tacere, e grida, e graffia le pareti del cuore, e martella la mente, che no, non può essere così, come noi ce la siamo raccontata.
Alla fine siamo rimasti soli con il nostro male, che prende la storia e la schianta nella disperazione. Soli come il “cieco”, sul ciglio della vita a raccogliere gli schizzi di fango che il male ci spruzza addosso.
Soli, che vuol dire ciechi dalla “nascita”, perché “nel peccato mi ha concepito mia madre”. Alla nostra origine vi è una “piscina” nella quale abbiamo assorbito la corruzione. E questo ci scandalizza, perché non possiamo accettare di essere stati gestati deboli nel seno di una madre debole.
Molti dei nostri problemi nascono qui; il cammino che si dice debba percorrere un ragazzo, affrancandosi dai propri genitori, tagliando il cordone interiore per assumere la propria identità, è soprattutto la lotta contro le proprie origini ferite dalla debolezza, dal peccato.
I figli, se da un lato vogliono assomigliare ai genitori nelle loro qualità, dall’altro vorrebbero cancellare la parte ereditata che a loro non piace, sia l’asperità del carattere o la cellulite.
Ogni figlio vorrebbe essere migliore, scrollandosi di dosso difetti e ipocrisie della generazione precedente. Il ’68, al netto delle ideologie che l’hanno prima ispirato e poi cavalcato, nasce da questa indomita necessità di purificazione, perché sia esorcizzato e sconfitto il male.
Il risultato fallimentare di ogni ribellione e rivoluzione, in casa come nelle piazze, è sotto gli occhi di tutti. Più male, più raffinato, più crudele. Perché il male è dentro di noi, ereditato insieme ai cromosomi. E’ nel cuore dell’uomo come una possibilità che determina la libertà.
Già, la libertà; tutti dicono di lottare per lei, ma non è vero. Siamo piuttosto tutti contro di lei, perché, confondendola con il male, ci scandalizza e ci fa paura; per questo ci impegniamo a limitarla, nel coniuge, nei figli, negli uffici, ovunque.
Non ci illudiamo, anche chi dice di lasciare libero l’altro è pronto a stringerli le mani sul collo non appena usi la libertà per fargli del male. Ogni dittatura, negli stati come nelle famiglie, è il tentativo goffo e demoniaco di rispondere alla domanda posta a Gesù: chi è stato così libero da peccare? Chi ha dato questa libertà sapendo che si sarebbe potuta aprire sul male?
Dio è stato, per amore. Eh no, amore proprio no. Guarda il mondo, guarda la mia vita, dov’è questo amore di Dio? In ogni domanda che ci poniamo sul male si cela un processo a Dio, sia per affermare che non è possibile che esista se ha permesso Auschwitz, sia per affrancarsi da Lui, prendendo in mano la propria vita. Perché il male accusa Dio, in ogni cuore.
Eccoci allora arrivati anche noi accanto a questo cieco. Eccoci confusi tra la folla, tra i farisei che si scandalizzano, tra i genitori che rifiutano il figlio. Eccoci ciechi dalla nascita, senza risposte.
Qui “passa” Gesù; ha attraversato la storia di male di ogni uomo per giungere oggi davanti a ciascuno di noi. Ci “vede” e riconosce in noi il suo destino, posando sulla nostra cecità lo sguardo del Padre che ci ha seguiti con misericordia sin dal grembo materno.
“Né lui, né i suoi genitori hanno peccato, ma è perché siano manifestate in lui le opere di Dio”. Ecco come gli occhi di Dio ci “vedono”; ecco come “vedono” ogni male, la sofferenza degli innocenti, il peccato e i suoi frutti di morte: ogni tomba è per Lui un grembo dove deporre suo Figlio perché “operi” il suo amore.
Dio, infatti, non ci ha mai abbandonati, non ci ha giudicati, ci ha amato sempre, sino a “inviare” suo Figlio nel fango che è tornata a essere la nostra vita. Non ha impedito il male perché non ha voluto toccare la nostra libertà. E’ in essa che risplende in noi la somiglianza con Lui.
Certo, la libertà è un rischio, è debole nelle creature. Ma se così non fosse non sarebbe libertà; se non includesse la possibilità di attraversarla per scegliere il male non sarebbe amore. Ed è quello che abbiamo fatto tutti.
Per questo Gesù ci dice che ci stiamo sbagliando: la cecità non è la conseguenza del peccato di qualcuno, è essa stessa il peccato. E’ alla nostra origine, quando “nasciamo” e ci affacciamo sulle situazioni e le relazioni che, interpretate dai sofismi del demonio, mettono in discussione l’immagine buona e amorevole di Dio.
Accogliendo la menzogna del serpente chiudiamo gli occhi su Dio e sul suo amore, per non riaprirli più. Questo è il peccato, ed è come se si fosse spenta la luce. Anche la creazione è divenuta cieca, il corpo, la terra, il cuore e la mente dell’uomo. I terremoti, le malattie, il dolore innocente sono proprio la negazione dell’amore.
Non dovrebbe morire un bambino, dovrebbe poter aprire gli occhi sul mondo e gustarne la bellezza. Non dovrebbe finire un matrimonio, dovrebbe aprire gli occhi ogni giorno sull’amore dei coniugi, libero, puro, disinteressato.
Ma è così, e ci si divorzia, si violenta, si ruba, si uccide. Si pecca e si soffre. E Gesù prende i nostri peccati, la nostra debolezza, prende il “fango” che traduce Adamo, e lo mescola alla sua “saliva”. Prende la nostra realtà e la sposa alla sua Parola, per “ungere” con l’amore i nostri occhi chiusi sull’amore.
E ci manda a “lavarci”, perché esiste un’altra “piscina”, quella di Siloe, dell’Inviato, del Messia dove rinascere a vita nuova, quella capace di entrare nella libertà e decidere per il bene.
L’episodio del vangelo di questa domenica è un altro scrutinio pre-battesimale della Chiesa primitiva. E’ proclamato nel mezzo della Quaresima per chiederci a che punto stiamo. Se ancora siamo scandalizzati del male e passiamo il tempo a cercare capri espiatori su cui riversare violenza e frustrazioni.
O se stiamo sperimentando il cammino del cieco. Cosa risponderesti a quella madre che ha perso il bambino, a quell’uomo al quale il terremoto ha strappato la casa, a quella moglie tradita? Sapresti dire “come ti sono stati aperti gli occhi”? Sapresti testimoniare che Gesù è il “profeta” che ti ha “visto” con amore e ti ha aperto gli occhi facendosi una carne con la tua debolezza per illuminarla con il suo amore?
Sapresti annunciare che Dio ti ama veramente, che nella Chiesa ti ha accolto immergendoti nella sua misericordia manifestando in te la sua opera? A questo siamo chiamati, imparando a prendere il rifiuto del mondo e di tanti religiosi, per testimoniare al mondo che abbiamo “visto” la risposta al male, l’abbiamo contemplata e sperimentata in Cristo risorto.

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Lectio divina – IV Domenica di Quaresima – Anno A – 26 marzo 2017
Mons. Francesco Follo
IV Domenica di Quaresima  – LAETARE – Anno A – 26 marzo 2017
Rito Romano
Sam 16,1.4.6-7.10-13; Sal 22; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41
Rito Ambrosiano
Es 34,27-35,1; Sal 35; 2Cor 3,7-18; Gv 9,1-38b
Domenica del cieco
1) Luce per gli occhi dell’anima.
Mentre domenica scorsa, attraverso il Vangelo della Samaritana Gesù ha promesso anche a noi il dono dell’acqua viva (Gv 4, 10.11) in questa IV domenica di Quaresima, chiamata anche “Laetare” (= Gioite), ci presenta Cristo “luce del mondo”, che guarisce un “cieco nato” (cfr Gv 9,1-41) .
Chi è un cieco nato? E’ una persona che non sa cosa sia la bellezza del creato e delle creature. E’ uno che vive senza potere o sapere dare un volto alle persone che gli sono accanto. E’ uno vive senza vedere l’arcobaleno del cielo, i colori dei campi, l’imponenza delle montagna, la dolcezza dei campi, i colori dei fiori e degli alberi.
Questo cieco è, soprattutto, uno che non conosce la gioia di poter fissare negli occhi con amore una persona cara. E’ una grande tristezza avere gli occhi e non vedere, affidandosi solo a quanto l’orecchio e il tatto fanno percepire, ed ad essere costretti a camminare per le vie con un bastone tra le mani, indovinando gli ostacoli senza sapere dove siano.
Tuttavia vi è una cecità molto peggiore, nell’uomo che non ha fede, che non conosce Gesù, che è la sola Verità che illumina il mondo, che dà senso ai fatti, spazio all’intelligenza, profondità all’amore, gusto a tutto ciò che siamo e facciamo, affetti compresi. Costui davvero è cieco: che ne sa della Luce, o meglio con quale luce cammina, giudica cose e fatti?
Provvidenzialmente, Cristo gli sana gli occhi del corpo e quelli dell’anima, con il tocco delle sue dita. Fatto questo che ci fa ricordare anche quanto accadde a noi il giorno del nostro battesimo, quando i nostri occhi furono stati accarezzati e benedetti dal sacerdote, perché si schiudessero alla Luce, che è Cristo. Questa luce di Cristo ci è data per vivere da figli della luce, dopo avere avuto guariti gli occhi del cuore, che “malati” rendevano cieca l’anima.
Immaginiamoci la scena, soprattutto quando Gesù prende un po’ di terra e la mischia con la sua saliva. Ne fa del fango e lo spalma sugli occhi del cieco. Questo gesto allude alla creazione dell’uomo, che la Bibbia racconta con il simbolo della terra plasmata e animata dal soffio di Dio (cfr Gn 2,7). “Adamo” infatti significa “terrestre, impastato di terra” (Adamo deriva dalla parola ebraica adamah che vuol dire terra), e il corpo umano in effetti è composto di elementi della terra. Guarendo l’uomo, Gesù opera una nuova creazione. Dare la vista, in certo senso, equivale dare la vita. Non a caso si dice che un donna dà alla luce un bambino. Venire alla luce è godere dei colori del mondo, della libertà di muoversi senza paura, di correre nella luce e saltare di gioia. Tuttavia il significato più profondo di questo miracolo della luce è che non solo gli occhi del corpo possono vedere, ma anche quelli dell’anima e così si può guardare nella profondità del mistero di Cristo, vedere la sua verità ed il suo amore ed esclamare: “Io credo, Signore” (Gv 9, 38), prostrandoci davanti a Lui, in un gesto che è adorazione, come ha fatto il cieco nato appena fu guarito. Da quel momento per quell’uomo inizio un cammino di fede.
            2) Cammino nella luce.
Il cammino a cui Gesù invitò il miracolato ci oggi è riproposto dalla Chiesa.
E’ un cammino di crescita nella conoscenza del Mistero di Cristo, e nell’esperienza di Lui, che è luce, e ci conduce alla pienezza della visione, anche, in mezzo agli ostacoli e alle zone d’ombra della vita.
A questo miracolato anonimo – che, quindi, rappresenta ciascuno di noi – la grazia più grande che riceve da Cristo non tanto è quella di vedere, quanto quella di conoscere Lui, vederLo come “la luce del mondo” (Gv 9,5). Il miracolo è che Cristo non fa vedere solo la luce del sole, ma anche quella della verità.
Nel miracolo del cieco nato vediamo che la conversione è un lasciarsi aprire gli occhi su una realtà  com’è davvero: in Dio e non come la vediamo quando guardiamo con occhi non di fede.
Quindi, facciamo nostro l’invito di San Bonaventura per un cammino della mente verso Dio: “Apri dunque gli occhi, tendi l’orecchio spirituale, apri le tue labbra e disponi il tuo cuore, perché tu possa in tutte le creature vedere, ascoltare, lodare, amare, venerare, glorificare, onorare il tuo Dio” (Itinerarium mentis in Deum, I, 15).
E’ un cammino, che possiamo compiere seguendo l’esortazione di San Paolo “Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; e il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, poiché di quanto viene fatto da costoro, in segreto, è vergognoso perfino parlare. Tutte queste cose, che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce. Per questo sta scritto: ‘Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà’”. (Ef 5, 8 14 – II lettura di questa Domenica).
E’ un cammino in cui siamo chiamati ad essere testimoni della luce e dell’amore che nasce dalla fede. “La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! In questo modo essa trasforma la nostra impazienza e i nostri dubbi nella sicura speranza che Dio tiene il mondo nelle sue mani e che nonostante ogni oscurità Egli vince. […] La fede… suscita a sua volta l’amore. Esso è la luce – in fondo l’unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire. L’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio” (Benedetto XVI, Deus caritas est, n.39).
Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare tutti e ciascuno di noi.
Come insegna Papa Francesco: “La nostra vita – a volte – è simile a quella del cieco che si è aperto alla luce, a Dio e alla sua grazia. A volte purtroppo è un po’ come quella dei dottori della legge, dei farisei, che sprofondarono sempre più nella cecità interiore: dall’alto del nostro orgoglio giudichiamo gli altri, e perfino il Signore… Nell’episodio evangelico dell’uomo cieco dalla nascita, al quale Gesù dona la vista: alla fine, mentre i “presunti vedenti” continuano a rimanere ciechi, il cieco guarito approda alla fede ed è questa la grazia più grande che gli viene fatta da Cristo: conoscere Lui, che è la luce del mondo” (Angelus, del 18 marzo 2016).
3) Verginità per la Luce.
Il cieco nato andò – a occhi chiusi ma con una buona ragione: il comando di Cristo – alla piscina di Siloe per lavarsi gli occhi impastati di fango. Quando gli occhi furono tersi, vide, credette e annunciò. La guarigione fu corporale e spirituale. Per questo vide non solo persone e cose, ma la verità di Dio e dell’uomo. Vide che Dio è per l’uomo, che Dio è amore, che Dio dona tutto, che Dio dona se stesso, che Dio dona la libertà che la libertà è l’amore e il servizio.
Questo miracolo ci invita a chiedere al Signore di guarire gli occhi della nostra anima, quindi di convertirci verso di Lui, per contemplarLo e seguirLo.
Le vergini consacrate nel mondo sono un esempio di questa conversione resa costante cammino mediante la consacrazione, che implica un’offerta piena della propria vita a Cristo. Dio “continuamente le purifica e rinnova, per farle comparire davanti a sé immacolate e sante, come spose adorne per le nozze. Nel mistero di questa Chiesa, vergine e madre, per mezzo del tuo Spirito susciti la varietà dei doni e dei carismi per l’edificazione del tuo regno. Sei tu che parli, o Padre, al cuore delle tue figlie e le attiri con vincoli di amore perché nell’attesa ardente e vigilante alimentino le loro lampade e vadano incontro a Cristo, re della gloria” (Prefazio della Messa del Rito di consacrazione delle Vergini).
Lettura Patristica
Sant’Efrem, il Siro (306 – 373)
Diatessaron, 16, 28-32
Il cieco nato
E perché essi avevano bestemmiato a proposito delle sue parole: “Prima che Abramo fosse, io ero” (Jn 8,58), Gesù andò verso l’incontro con un uomo, cieco fin dalla nascita: “E i suoi discepoli lo interrogarono: Chi ha peccato, lui o i suoi genitori? Egli disse loro: Né lui, né i suoi genitori, ma è perché Dio sia glorificato. È necessario che io compia le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno” (Jn 9,2-4), fintanto che sono con voi. “Sopraggiunge la notte” (Jn 9,4), e il Figlio sarà esaltato, e voi che siete la luce del mondo, scomparirete e non vi saranno più miracoli a causa dell’incredulità. “Ciò dicendo, sputò per terra, formò del fango con la saliva, e fece degli occhi con il suo fango” (Jn 9,6), e la luce scaturí dalla terra, come al principio, quando l’ombra del cielo, “la tenebra, era estesa su tutto” ed egli comandò alla luce e quella nacque dalle tenebre (Gn 1,2-3). Così «egli formò del fango con la saliva», e guarì il difetto che esisteva dalla nascita, per mostrare che lui, la cui mano completava ciò che mancava alla natura, era proprio colui la cui mano aveva modellato la creazione al principio. E siccome rifiutavano di crederlo anteriore ad Abramo, egli provò loro con quest’opera che era il Figlio di colui che, con la sua mano, “formò” il primo “Adamo con la terra” (Gn 2,7): in effetti, egli guarì la tara del cieco con i gesti del proprio corpo.
Fece ciò inoltre per confondere coloro che dicono che l’uomo è fatto di quattro elementi, poiché rifece le membra carenti con terra e saliva, fece ciò a utilità di coloro che cercavano i miracoli per credere: “I Giudei cercano i miracoli” (1Co 1,22). Non fu la piscina di Siloe che aprì gli occhi del cieco (Jn 9,7 Jn 11), come non furono le acque del Giordano che purificarono Naaman; è il comando del Signore che compie tutto. Ben più, non è l’acqua del nostro Battesimo, ma i nomi che si pronunciano su di essa, che ci purificano. “Unse i suoi occhi con il fango” (Jn 9,6), perché i Giudei ripulissero l’accecamento del loro cuore. Quando il cieco se ne andò tra la folla e chiese: «Dov’è Siloe?», si vide il fango cosparso sui suoi occhi. Le persone lo interrogarono, egli le informò, ed esse lo seguirono, per vedere se i suoi occhi si fossero aperti.
Coloro che vedevano la luce materiale erano guidati da un cieco che vedeva la luce dello spirito, e, nella sua notte, il cieco era guidato da coloro che vedevano esteriormente, ma che erano spiritualmente ciechi. Il cieco lavò il fango dai suoi occhi, e vide se stesso; gli altri lavarono la cecità del loro cuore ed esaminarono sé stessi. Nostro Signore apriva segretamente gli occhi di molti altri ciechi. Quel cieco fu una bella e inattesa fortuna per Nostro Signore; per suo tramite, acquistò numerosi ciechi, che egli guarì dalla cecità del cuore.
In quelle poche parole del Signore si celavano mirabili tesori, e, in quella guarigione era delineato un simbolo: Gesù figlio del Creatore. “Va’, lavati il viso” (Jn 9,7), per evitare che qualcuno consideri quella guarigione più come un stratagemma che come un miracolo, egli lo mandò a lavarsi. Disse ciò per mostrare che il cieco non dubitava del potere di guarigione del Signore, e perché, camminando e parlando, pubblicizzasse l’evento e mostrasse la sua fede.

La saliva del Signore servì da chiave agli occhi chiusi, e guarì l’occhio e la pupilla con le acque, con le acque formò il fango e riparò il difetto. Agì così, affinché, allorché gli avrebbero sputato in faccia, gli occhi dei ciechi, aperti dalla sua saliva, avessero reso testimonianza contro di essi. Ma essi non compresero il rimprovero che egli volle fare a proposito degli occhi guariti dei ciechi: “Perché coloro che vedono diventino ciechi” (Mt 26,27); diceva questo dei ciechi perché lo vedano corporalmente, e di quelli che vedono perché i loro cuori non lo conoscano. Egli ha formato il fango durante il sabato (Jn 9,14). Omisero il fatto della guarigione e gli rimproverarono di aver formato del fango. Lo stesso dissero a colui “che era malato da trentotto anni: Chi ti ha detto di portare il tuo lettuccio?” (Jn 5,5 Jn 12), e non: Chi ti ha guarito? Qui, analogamente: «Ha fatto del fango durante il sabato». E così, anzi per molto meno, non si ingelosirono di lui e non lo rinnegarono, quando guarì un idropico, con una sola parola, in giorno di sabato? (Lc 14,1-6). Cosa gli fece dunque guarendolo? Egli fu purificato e guarito con la sola parola. Quindi, secondo le loro teorie, chiunque parla viola il sabato; ma allora – si dirà – chi ha maggiormente violato il sabato, il nostro Salvatore che guarisce, o coloro che ne parlano con gelosia?