giovedì 11 maggio 2017

Buena suerte (si fa per dire...)



La balena che suicida i nostri figli
di Roberto Marchesini

Stephen King è un prolifico scrittore statunitense diventato famoso (e ricco) grazie ad una serie di romanzi horror. Recentemente, con la trilogia dedicata a Mr. Mercedes (Mr. Mercedes, 2014; Chi perde paga, 2015; Fine turno, 2016), ha tentato un tuffo nel thriller. Un tuffo poco riuscito, considerato che, con l'accumularsi dei libri, il thriller vira decisamente verso l'horror, terreno d'elezione di King. In Fine turno l'ex poliziotto Bill Hodges si trova ad indagare su uno strano caso di suicidio; scoprirà che si trattava, insieme a numerosi altri, di un suicidio indotto. Un ipnotico videogioco (chiamato Zappit) rende le persone estremamente vulnerabili alle parole dell'assassino.
La cosa più straordinaria di questo romanzo è che King ha profetizzato un incubo reale: la possibilità di spingere i giovani a suicidarsi mediante dispositivi elettronici.
Ne da notizia l'agenzia di stampa Fides: «“Balena Blu” è [...] il titolo del nuovo “gioco” che sta facendo molte vittime tra gli adolescenti. Impone il superamento di 50 prove: le prime sono banali, ne seguono altre basate sull’autoumiliazione fino all’ultima, il suicidio. A gestire questo percorso di prove è una sorta di arbitro in rete, che richiede prove o foto delle prove fatte e la cancellazione delle prove precedenti. Alla fine il “giocatore” deve decidere come suicidarsi».
Ne aveva già parlato il 10 marzo scorso il giornalista Maurizio Blondet: tra le prove veniva chiesto di svegliarsi alle 4,20; guardare film horror per 24 ore consecutive; incidersi una balena sul braccio; infine cercare un palazzo e gettarsi nel vuoto, o suicidarsi un altro modo.
Nel novembre 2016 è stato arrestato un ventunenne russo, Philip Budeykin (conosciuto anche come Philip Lis), accusato di aver ideato questo «gioco» e provocato la morte di 15 ragazzini.
Purtroppo l'arresto di Budeykin non ha arrestato la diffusione del gioco che ha raggiunto la FranciaSpagna (QUI), Colombia, Cile, Brasile, Bolivia e Uruguay. E i ragazzini hanno continuato a suicidarsi, fino a superare il numero di 130 vittime.
Non è difficile, di fronte a queste notizie, fermarsi a pensare a quanto siano fragili e disperati i nostri ragazzi, i nostri bambini; a quanto siano soli, abbandonati dagli adulti che dovrebbero vegliare su di loro; a quanto siano invasivi i social media e all'accesso che hanno alle nostre case, alle nostre vite, senza che nessuno se ne preoccupi.
D'altra parte colpisce anche il richiamo che, sui ragazzi, hanno le sfide, soprattutto se radicali, totali, definitive. A quanto siano disposti a tutto, senza le remore che ogni adulto pone tra sé e le scelte impegnative; basti pensare al matrimonio, ambito ormai solo da preti e gay... Bene: quali sfide proponiamo ai nostri ragazzi? Come sfamiamo la loro sede di radicalità? La natura – scrisse Aristotele – aborre il vuoto; e qualcuno è sempre pronto ad infilarsi nelle vite dei nostri figli.
Infine, l'impressione che questi episodi siano soltanto l'emergenza di un fenomeno carsico, magmatico. Di un male, una morte, una disperazione assoluta ed irrazionale che ribolle sotto la superficie della nostra società ipocrita, regolamentata, burocratica, sazia e disperata; superficie che qua e là si crepa, e lascia intravedere l'abisso infernale nel quale possiamo sprofondare da un momento all'altro.
Dovremmo buttarci nel confessionale, convertirci, pregare. Invece, leggiamo, scuotiamo la testa, e passiamo oltre.