mercoledì 21 giugno 2017

Au peril de la nuit...





(Anne-Marie Pelletier) Mentre a Roma è appena stata avviata la causa di beatificazione della poetessa Marie Noël, in Francia esce un libro importante, a firma di padre François Marxer, esperto di storia della spiritualità. Intitolata Au péril de la nuit. Femmes mystiques du XXè siècle (Parigi, Editions du Cerf, 2017, pagine 640, euro 29) quest’opera propone al lettore un’immersione impressionante nella storia spirituale del XX secolo attraverso otto ritratti di donne mistiche, tracciati con perizia e grande acutezza spirituale.
Certo, i profili, i radicamenti, i cammini di queste donne sono molteplici. Accanto a quattro religiose (Edith Stein, Madre Teresa, Maria della Trinità, alle quali viene associata Teresa di Lisieux, che sotto molti aspetti precorre il secolo) figurano quattro laiche, che a loro volta hanno avuto destini molto particolari (da Simone Weil, che rimase sulla soglia del battesimo, a Etty Hillesum, che sarebbe inappropriato definire cristiana, passando per Adrienne von Speyr, tenuta in venerazione da Hans Urs von Balthasar e, appunto, Marie Noël). 
Eppure, sottolinea l’autore, un forte vincolo univa queste donne nella loro diversità: tutte avranno vissuto il «pericolo della notte», sperimentando nella loro carne e nella loro storia che tale notte è il luogo stesso della vicinanza e dell’incontro con Dio. Si sono così mantenute in contatto con un sapere che si acquisisce già nelle Scritture, che dicono allo stesso tempo che Dio si rivela e che è “Dio nascosto”. Un sapere, inoltre, che la tradizione ebraica non ha mai contraddetto e che non cessa di abitare la Chiesa da quando Dionigi l’Areopagita si è interrogato sulle vie della conoscenza di Dio, o da quando Origene ha commentato il mistero dell’Incarnazione dicendo: «Egli non è stato mandato solo per essere riconosciuto, ma anche per rimanere nascosto».
Sta di fatto che celebrare “la notte” nel nostro tempo presente comporta una parte di sfida. Certo, ricordiamo che questo è un tema della tradizione mistica illustrato soprattutto da san Giovanni della Croce. Ma, al di là di questo particolare riferimento, ogni celebrazione della notte non può che catturare il lettore in modo contrario rispetto alla nostra cultura occidentale contemporanea. Di fatto, quest’ultima si sforza di riassorbire il buio e scongiurare la notte, che si tratti dell’illuminazione materiale delle nostre città quando scende il buio dell’irresistibile pulsione della scienza, al lavoro per svelare il mistero della materia e della vita, o anche della nostra concezione comune di una religione che dovrebbe esporre, per intero, la verità di tutte le cose. 
Ora, proprio riguardo a quest’ultimo punto padre Marxer invita a mettersi alla scuola delle donne mistiche, la cui vita e parola contraddicono rigorosamente questa concezione della fede. La conoscenza di Dio, ci ricordano, si forma nel gioco tra ombra e luce, là dove si acconsente a progredire liberi da sostegni familiari, là dove non ci si sottrae alla grande prova del silenzio di Dio, né a quella della debolezza umana. Alla fine Dio si dona in modo privilegiato in un’esperienza della vita che non diserta quando il suolo sprofonda, quando la tenebra s’ispessisce sotto i molteplici ricatti della morte.
Così queste pagine esplorano minuziosamente il plurale della notte, che si declina dal più accogliente al più terrificante, così come viene sperimentata in questi diversi destini femminili. Certamente c’è la notte felice della visita, cantata nel Cantico dei Cantici, come pure la notte che ammicca all’Altrove che attira i poeti. C’è però anche la notte desolata che scende quando l’Amato scompare e il cuore si ritrova in uno smarrimento che, del resto, può condurre in strana e fraterna prossimità all’ateismo. 
O ancora, c’è la notte che scende sul mondo quando l’umanità si accascia su se stessa, risucchiata dal male. Molte delle donne qui ricordate saranno state afferrate dagli artigli di questa notte infernale. Ma ecco che c’è anche, misteriosamente mescolata a questa tenebra, la notte teofanica, che apre sull’esperienza della Presenza donata attraverso lo “strappo difficile da ricucire”. In tal senso, c’è la notte affrontata senza batter ciglio, e ciò in modo estremo in Edith Stein, nel «triplice santuario del corpo, dell’anima e della mente», l’esperienza di cui Etty Hillesum testimonia a modo suo quando parla di Dio come di quella “camera alta”, in cui trovarsi nell’ora in cui passa lo Sterminatore. 
Queste “donne esagerate”, secondo l’aggettivo qualificativo attribuito loro dagli uomini, sanno pertanto che la notte è il luogo segreto della presenza di Dio. La maggior parte di loro vive all’ombra della Croce e dell’ora in cui, spirando Cristo, «si fece buio su tutta la terra» (Luca 23, 44), rivelando che in lui Dio si sarà inoltrato fino al punto estremo di tutte le notti dell’umanità. Ma se quelle donne possono raccontare questo mistero, l’essenziale è che prima di tutto lo vivono, restando in piedi nella notte. 
Certo, gli uomini non sono esclusi dal campo visivo di questo libro. All’inizio viene citato il memoriale di Pascal e, qua e là, risuonano alcune voci maschili. Ma, attraverso le otto donne qui riunite, si esplicita in modo incontestabile una qualità del femminile che si sofferma al cuore della notte con particolare agio, singolare coraggio e indefettibile resistenza. 
Queste donne non sono spaventate dal fatto che Dio le aspetta nella notte, che rimane il “lontano-vicino”, come lo definiva Margherita Porete prima di loro. Ad attirarle, a trattenerle e a permettere loro di vivere talvolta l’invivibile è questo tesoro unico, nutrito di fiducia e custodito la notte, che è esattamente «quel che nasconde tutto ciò che è ben ordinato», come scrive l’autore. In ciò, esse si distinguono certamente dallo spirito che anima troppi catechismi tranquilli, troppe teologie rassicuranti che immobilizzano la rivelazione, che la infilzano in formule, come degli entomologi. Ovvero, secondo un modo tipicamente maschile di porsi rispetto alla fede, come ribadisce con insistenza François Marxer ripetendo l’osservazione piacevolmente impertinente di Marie Noël: «Ogni mattina i teologi aiutano Dio a vestirsi di dogmi». 
Queste stesse donne rifuggono le teodicee che superano troppo allegramente, in modo irreale e dunque non credibile, l’enigma di una storia della quale alla fine solo Dio ha la chiave. Esse acconsentono allo spossessamento, rinunciano al sapere assoluto, con cui alcuni sarebbero tentati di confondere la fede. E, mantenendosi in tal modo al di fuori di ogni maestria, osando riconoscere che la notte, intorno a loro e dentro di loro, non indietreggia, accedono alla verità sovreminente: se il mondo rimane quello che è, deludente e crudele, ci è però «possibile esserci altrimenti, esserci con la notte, nella notte», in un “altrimenti” rivelato come l’agape «che non resiste, non elude, non sfugge alla violenza della notte, ma vi prende coraggiosamente posto e vi si alloggia». 
Il fatto è che, ognuna a modo proprio, queste donne avranno vissuto in modo radicale l’agape, con la preoccupazione dell’altro, di un “per l’altro” radicale, che è il nocciolo dell’imitatio Dei: che si tratti di Teresa di Lisieux in ansia per la salvezza di Pranzini, di Simone Weil che condivide la condizione operaia, di Etty Hillesum e di Edith Stein che si adoperano instancabilmente per soccorrere e consolare sulla soglia delle camere a gas, di Madre Teresa negli slum di Calcutta, o ancora di Marie Noël che posa uno sguardo di tenera compassione sull’umile quotidianità dei suoi simili. 
Aggiungiamo un’ultima osservazione su come si colloca questo libro: esso confonde di proposito le classificazioni accademiche. In particolare, e malgrado la qualità della ricerca, sarebbe sbagliato leggerlo semplicemente come un contributo intellettuale alla storia della mistica o a quella delle donne. L’autore che si esprime in queste pagine è un “io” che non nasconde l’immensa ammirazione che gli ispirano queste donne, sia come cristiano sia come uomo e sacerdote. Dichiara in maniera forte e chiara di aver ricevuto, frequentandole e ascoltandole a lungo, un sapere incomparabile sulla fede, che supera abbondantemente ciò che s’impara comunemente dagli uomini che interrogano la fede e la traducono in parole e concetti. La dote unica di queste donne è quella dell’esperienza di Dio vissuta senza filtro e senza protezione. «I poeti hanno parlato, i filosofi hanno pensato, loro hanno attraversato», osserva dunque. 
È positivo che questo omaggio ci giunga qui dalla bocca di un uomo, e per di più di un chierico. Viene così chiaramente onorato l’augurio espresso di recente da Papa Francesco che si faccia attenzione a mantenere il dialogo fondamentale tra uomini e donne. 
Un’altra precisazione per dare a queste pagine la loro piena portata: pur mettendo in contatto destini molto fuori dal comune, l’aspetto eccezionale qui non è costituito da una mistica dalle espressioni spettacolari. E nemmeno da vite che dovrebbero essere contemplate solo da lontano, venerate a distanza come troppo spesso si fa con i santi, trovando qui il mezzo per riservare a questi ultimi una fedeltà dalla quale si potrebbe esentare se stessi. Una Teresa di Lisieux o una Marie Noël, per ritornare a quest’ultima, sono esempi della massima semplicità, della quotidianità più comune, uniti a un’audacia spirituale e a una fiducia intrepide. 
Questo libro, dunque, riporta tutti i lettori a una radicalità mistica che è, di fatto e semplicemente, una dimensione di tutta la vita cristiana, sin dall’istante in qui questa riconosce di essere chiamata alla sequela Christi nell’una o nell’altra forma di vocazione. Ricorda anche a ogni cristiano che non deve essere l’araldo di una verità presuntuosa che dà ragione di tutto, bensì testimone di un mistero di vita e di grazia, che non scoraggia il chiaroscuro della vita dell’umanità, anche quando quest’ultima si abbuia e si fa vivere come tenebra mortalmente minacciosa. Auguriamo dunque che queste pagine siano presto accessibili ad altri lettori oltre a quelli francofoni.

L'Osservatore Romano