lunedì 5 giugno 2017

Il rischio della misericordia




Accogliendo gli ebrei perseguitati, negli anni della seconda guerra mondiale, Pio XII ha testimoniato come si compiono le opere di misericordia: condividendo, compatendo, rischiando di persona e senza timore di derisioni o incomprensioni. Con un appello a riscoprire e a mettere in pratica «le quattordici opere di misericordia corporale e spirituale» Papa Francesco ha invitato a un esame di coscienza personale nella messa celebrata lunedì 5 giugno a Santa Marta.Per la sua meditazione, Francesco ha preso spunto della «prima lettura della liturgia di oggi, presa dal libro di Tobia» (1,3; 2,1-8): «Tutta una storia, ma oggi ci parla di come era Tobi — Tobi, il padre di Tobia — come era la sua vita di fede: un uomo credente». Magari «sembra, all’inizio, che lui si vanti un po’; ma no, non è così» ha fatto notare il Papa.
«Semplicemente, è una storia che ha dei momenti brutti e alla fine c’è un messaggio». E «oggi questo passo ci parla della testimonianza di Tobi, quella testimonianza misericordiosa». Tobi, infatti, «fa le opere di misericordia». Si legge nel testo biblico: «Io, Tobi, passavo tutti i giorni della mia vita seguendo le vie della verità e della giustizia. Ai miei fratelli e compatrioti, che erano stati condotti con me in prigionia a Ninive — è stato prigioniero, schiavo a Ninive — nel paese degli Assiri, facevo molte elemosine».
Insomma Tobi «era un uomo ricco, ma era generoso». Ma «poi — ha spiegato Francesco — c’è questo fatto, quando lui nella festa di Pentecoste ha fatto preparare un buon pranzo e prima di mettersi a tavola disse al figlio di uscire e vedere se ci fosse qualche fratello ebreo povero per invitarlo a pranzo: faceva un’opera di misericordia». Ed ecco che, ha proseguito il Papa, «il figlio viene — lui era felice, era un giorno di festa — e dice che avevano ucciso un fratello ebreo». Subito Tobi «si alzò, lascio intatto il pranzo, poi andò in piazza, tolse l’uomo dalla piazza, lo portò in una camera aspettando il tramonto per seppellirlo». E alla fine, si legge nel brano, «ritornai, mi lavai — dice Tobi — e mangiai con tristezza».
Tobi ha messo in pratica «un’opera di misericordia, una delle quattordici opere di misericordia corporale e spirituale» ha affermato Francesco. E «nell’elenco delle opere di misericordia che la Chiesa ci dà, questa è l’ultima: pregare Dio per i vivi e i defunti, e quindi anche seppellire i morti». Proprio per questa ragione, ha confidato il Papa, «io vorrei oggi parlare sulle opere di misericordia».
«Un’opera di misericordia — ha spiegato — significa non solo condividere quello che io ho». Certo, «questo è molto importante: e Tobi condivideva il denaro, perché era ricco e dava elemosine» Ma «condivideva anche l’amicizia: invitava a pranzo i poveri». Perciò, ha messo in guardia il Pontefice, non si tratta «solo di condividere, ma di compatire, cioè soffrire con chi soffre».
Del resto, ha fatto presente, «un’opera di misericordia non è fare una cosa per scaricare la coscienza: un’opera di bene così sono più tranquillo, mi tolgo un peso di dosso. No!». Compiere un’opera di misericordia significa «anche compatire il dolore altrui», perchè «condividere e compatire vanno insieme». Perciò «è misericordioso quello che sa condividere e anche compatire i problemi delle altre persone».
Ed ecco le domande che Francesco ha suggerito, proprio come esame di coscienza: «Io so condividere? Sono generoso, sono generosa? Quando vedo una persona che soffre, che è in difficoltà, anch’io soffro? So mettermi nelle scarpe altrui, nella situazione di sofferenza?». Le parole di Tobia sono eloquenti: «Mangiai con tristezza». Esprimono bene l’idea di «condividere e compatire. Questa è la prima caratteristica, il primo modo, la prima conseguenza di un’opera di misericordia: io condivido, io compatisco».
«Ma poi c'è un'altra cosa» ha ripreso il Papa. Infatti «fare opere di misericordia alle volte significa rischiare». E qui viene in appoggio nuovamente il passo del libro di Tobia proposto dalla liturgia. «Non ha più paura!» dicevano i vicini di Tobi; e «proprio per questo motivo lo hanno già ricercato per ucciderlo. È dovuto fuggire e ora eccolo di nuovo a seppellire i morti».
«Tante volte si rischia» per compiere un’opera di misericordia, ha insistito Francesco. «Pensiamo qui, a Roma, in piena guerra: quanti hanno rischiato, incominciando da Pio xii, per nascondere gli ebrei, perché non fossero uccisi, perché non fossero deportati. Rischiavano la pelle! Ma era un opera di misericordia, salvare di vita di quella gente!». Ecco perché si deve anche «rischiare».
In questa riflessione su ciò che comporta compiere autenticamente un’opera di misericordia, il Pontefice ha indicato anche la possibilità che si finisca «a volte» per «diventare oggetto di beffa». È il caso di Tobi, il quale afferma: «I miei vicini mi deridevano». Magari dandogli del «pazzo» e guardandolo storto per il fatto che continuasse a fare questi gesti verso il prossimo nonostante fosse già stato «perseguitato». Come a dire che questo Tobi proprio «non sa vivere bene...».
Ma proprio la sua storia, ha affermato il Papa, ci indica le «tre caratteristiche», le «tre tracce delle opere di misericordia»: condividere e compatire, rischiare e anche essere pronti alla derisione». Tobi, ha proseguito Francesco, «non è come il ricco Epulone, del quale racconta Gesù nel Vangelo, che faceva le feste e ignorava il povero Lazzaro che era affamato alla porta del suo palazzo: sapeva che era lì, ma lo ignorava». Tobi invece sa «condividere e compatire». E anche «rischiare: si rischia sempre e, come ho detto, alle volte i rischi sono brutti». Inoltre bisogna «sapere che se noi facciamo opere di misericordia, qualcuno dirà: “quest’uomo è pazzo, questa donna è pazza: invece di essere tranquillo, comodo a casa sua, va all’ospedale, va di qua, va di là...”».
«Le opere di misericordia sono la strada per trovare misericordia» ha rilaciato il Pontefice. «Nelle Beatitudini — ha spiegato — Gesù dice: “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”». Con una consapevolezza: colui «che è capace di fare un’opera di misericordia, lo fa perché sa che lui è stato “misericordiato” prima: è stato il Signore a dare la misericordia a lui». E «se noi facciamo queste cose, è perché il Signore ha avuto pietà di noi: pensiamo ai nostri peccati, ai nostri sbagli e a come il Signore ci ha perdonato, ci ha perdonato tutto, ha avuto questa misericordia». Perciò, ha insistito il Papa, «almeno facciamo lo stesso con i nostri fratelli». Ecco l’essenza delle «opere di misericordia».
«Io vorrei aggiungere un’altra cosa — ha confidato Francesco — che non è esplicita ma implicita nel passo che abbiamo letto: le opere di misericordia, fare opere di misericordia è scomodo». Potrebbe venire da pensare: «Ma io ho un amico malato, un’amica malata, vorrei andare a visitarlo, ma non ho voglia, preferisco riposare, o guardare la tv, tranquillo...”». Perché «fare le opere di misericordia è sempre subire scomodità». Questo genere di opere «scomodano, ma il Signore ha subìto la scomodità per noi: è andato in croce, per darci misericordia».
In conclusione, il Pontefice ha invitato a ripensare «oggi alle opere di misericordia». E anzitutto, ha suggerito, «ricordiamole: sono quattordici, sette corporali e sette spirituali». E con un sorriso ha rassicurato quanti erano nella cappella di Santa Marta: «Io non dirò qui: “chi sa le opere di misericordia quali sono, alzi la mano”; non lo dico, perché ho paura che siano poche le mani che si alzerebbero». Però ha chiesto di non perdere l’occasione per trovare il modo di praticarle. Certo, ricordando «quali sono», ma anche chiedendosi: «E io faccio questo? Io so condividere, so compatire? Io rischio? Io mi lascio scomodare per fare un’opera di misericordia?».
È una questione importante, ha aggiunto il Papa, perché «le opere di misericordia sono quelle che ci tolgono dall’egoismo e ci fanno imitare Gesù più da vicino». E non ha importanza se, «è vero, che qualcuno ci prenderà in giro e dirà “questa persona è pazza, le cose che fa, invece di essere comoda...”». Non importa, ha affermato Francesco, «lasciamo passare». Però «oggi prendiamo un po’ di tempo — ci farà bene a tutti — per pensare alle opere di misericordia e per domandarci: io faccio questo? Io faccio questo? Io faccio questo?».
L'Osservatore Romano