domenica 11 giugno 2017

Solennità della Santissima Trinità. Anno A


AMBIENTALE


Celebriamo oggi la Solennità della Santissima Trinità e la liturgia propone la lettura della pagina del Vangelo di san Giovanni (16,12-15) in cui Gesù assicura ai suoi apostoli, ancora fragili nella fede, l'assistenza dello Spirito Santo che li "guiderà alla verità tutta intera". "Tutto quello che il Padre possiede è mio -continua Gesù- per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà".

Dio ci ha resi partecipi della sua eredità: la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre, e la comunione dello Spirito Santo. La Santissima Trinità non è avara, non resta a godersi, “in pace” e per sempre, la sua condizione beata, ma piena di zelo ci viene a cercare, è in missione tra noi, sa che viviamo una condizione tragica. Poiché, in origine, l’antico avversario ci ha derubato della fiducia, facendoci dubitare della bontà di Dio. Con essa ci ha privato del senso della vita, relegandoci in una condizione opprimente: la paura di soffrire e di morire; costretti, dal timore, a “vivere per noi stessi”, siamo circondati dalla solitudine e dall’insoddisfazione. Per questo l’Altissimo ha compassione di noi, Cristo non è venuto a condannarci, ma a liberarci con questa notizia straordinaria: la morte e la sofferenza sono state vinte da Lui, che si è immolato per pagare il nostro debito.  Ci dona, inoltre, la guarigione totale, la possibilità di tornare ad amare Dio e il prossimo, partecipando della comunione trinitaria che ci viene offerta gratuitamente. Chi non crede a questa ottima notizia non viene condannato, già soffre la condanna di  una vita senza amore e senza speranza. Approfittiamo dunque di questa benevolenza, non siamo abbandonati, al contrario, il “loro affetto” bussa, oggi, alla nostra porta.

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COMMENTO

In mezzo a tante chiacchiere sulla moralità e la giustizia, il Vangelo di oggi ci inchioda tutti alla verità: scrive San Giacomo che la fede senza le opere è morta. Per dire che se non si esplicita in un agire concreto è una fede senza vita, ferma a uno stadio intellettuale o pseudo-mistico, ma priva del soffio dello Spirito. 

Nel Vangelo di Giovanni fede e opere quasi coincidono: in esso, infatti, l’opera per eccellenza, è “credere”. E’ l’opera che spalanca le porte della vita alla luce. Credere è, etimologicamente dal greco, appoggiarsi nel Signore.

“Vedere” è “credere”, e credere in Cristo coincide con l’essere in Lui. In Giovanni non v’è nulla di gnostico, intellettuale o ideale. E’ concretissimo, nelle note storiche di cui si serve, come nel mostrare la relazione di Gesù con i suoi discepoli. 

Il discepolo amato appare come colui che riposa sul petto di Gesù, e ne percepisce i sentimenti più profondi sino ad identificarvisi. E credere significa anche vedere Gesù dove non lo si vede più nella carne, nei momenti bui dell’esistenza, dove neanche un briciolo di sentimento può consolare. 

Nella solitudine della notte, dove ragione e sentire non rispondono all’appello, camminare illuminati dalla sola fede, dall’intimità che supera ogni barriera, come una madre che ha il figlio in guerra e non sa se sia vivo oppure no, che non riceve lettere e notizie, ma che non per questo smette di amarlo, anzi, nella totale incertezza, nella precarietà che fagocita tutto, l’amore si moltiplica a dismisura rompendo gli argini del tempo e dello spazio. 

Questo amore è, per Giovanni, la fede. Esso sgorga dal cuore di Dio rivelato nel dono del suo unigenito Figlio. L’amore di Dio che cerca ogni uomo per attirarlo a sé attraverso la Croce innalzata di Gesù. 

“Guardare” Cristo crocifisso, fissare quell’amore trafitto dai miei peccati, restarne coinvolto perché Lui si è legato a me al punto di farsi peccato, di lasciarsi stritolare dalle conseguenze dei miei delitti; guardare Cristo crocifisso e vedere l’amore di Dio per me: questa è la fede. 

Credere che l’amore che ho sempre sperato è possibile, è ora qui davanti ai miei occhi. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio” significa che Dio ti ha tanto amato da dare a te suo Figlio, capito? Forse no, forse è troppo per la nostra mente e per il nostro cuore. Nessuno ha dato suo figlio per te vero? Neanche cento euro, figurati….

“Dato”, cioè “consegnato”. “Dato”, cioè “regalato”. Gesù deposto nelle tue mani, come accade quando lo accogliamo nell’eucarestia. Come quando le mani del sacerdote si stendono su di noi nella confessione con la quale ogni peccato è perdonato. 

Come accade in ogni sacramento, nel quale la Trinità ci chiama, ci avvolge, e viene ad abitare in noi schiudendoci le porte della propria intimità. Tu ed io, poveri, incoerenti, peccatori, indegni. Tu ed io che abbiamo appena giudicato, mormorato. Tuo figlio, che forse ha peccato con la sua fidanzata; tua figlia, che non riesce ad obbedirti; il tuo collega, che ti ha calunniato con il capo. 

Basta ascoltare per “vedere” il Figlio consegnato dal Padre e ricevere lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio, l’alito di vita eterna e di amore infinito che spira tra i Due. 

Ascoltare la predicazione della Chiesa, questo Vangelo proclamato in questa domenica, e “credere” che è vero, che esiste un “giudizio” diverso da quello che il mondo conosce, che “condanna” i colpevoli e assolve gli innocenti, spesso scambiando gli uni con gli altri, senza misericordia. 

E’ vero che basta lasciarsi raggiungere dalla predicazione della Chiesa come accadde a chi era a Gerusalemme la mattina di Pentecoste, e lasciarsi trafiggere il cuore per schiudere il pertugio nel cuore da dove lo Spirito Santo possa infilarsi e invadere ogni cellula con la “vita eterna”.  

E’ vero che chi ascolta “vede” il Figlio, può “credere in Lui” e “non morire”! Prova oggi, e vedrai. Porgi il tuo orecchio, così come sei, senza difenderti, contempla Cristo crocifisso che il Padre consegna a te, e consegnagli la tua vita

Il tuo matrimonio, deponilo nelle mani trafitte di Cristo e vedrai che perdonerai il tuo coniuge in quello che non hai ancora dimenticato. Infila nella ferita del suo costato il rapporto che oggi ti sta costando di più, e lo vedrai trasfigurato nell’amore. 

Lascia che il suo sangue raggiunga il tuo cuore idolatra, attaccato ai soldi, schiavo dell’orgoglio che ti fa mormorare sempre e giudicare tutti; la tua mente intrappolata nella superbia che ti vorrebbe far condurre la tua vita secondo i tuoi schemi, facendoti sbattere così spesso sui fallimenti.

Cerca una seria iniziazione cristiana nella tua parrocchia o in quelle vicine, un cammino di fede dove imparare ad ascoltare, vedere e credere. Da solo non ce la farai, perché abbiamo bisogno di un Popolo con cui camminare e crescere nella fede. 

Il mondo e il demonio suo principe sono molto più astuti di noi, i sofismi che sollecitano la ragione come accadde ad Adamo ed Eva ci ingannano, inducendoci a credere che Dio non ci può amare, non ci può perdonare, anzi. Abbiamo bisogno di una Madre come la Chiesa che ci educhi e accompagni nella crescita spirituale, che significa diventare adulti nella fede, uomini nuovi che non muoiono più nei peccati.

In essa possiamo essere ricolmati dello Spirito Santo, essere accolti nell’intimità dalla Trinità, e scoprire che il Padre ci “consegna” suo Figlio incarnato in ogni fratello, anche nel nemico. Anche nel marito insopportabile, anche nella moglie che non te ne fa passare una, anche nel figlio distratto e infantile, anche nelle persone che ti rubano l’onore o non ti accettano. 

Dio, infatti, “ti ama tanto da darti suo Figlio” ogni istante, in ogni evento, in ogni persona. Credere questo significa non morire nelle relazioni, tra i tentacoli delle difficoltà, ma avere già oggi la vita eterna. 

Ma come posso credere questo se l’evidenza mi dice il contrario? Se i peccati dell’altro mi stanno dinanzi e tutto sembra meno che Gesù Cristo, tutto mi fa pensare meno che all’amore di Dio? E’ possibile solo per è rinato in Cristo, per chi si è sentito amato così come è.

Credere è, dunque, lasciarmi amare e perdonare. Credere è smettere di discutere, giustificarmi, scappare nelle tenebre per contraffare le opere malvagie, alla ricerca di rifugi ipocriti e alienanti. Credere è abbandonare ogni pretesa di autosufficienza e ogni auto-giustificazione e lasciarmi giudicare dal “giudizio” di Dio che è pura misericordia. 

Ciò significa che, anche se la carne continua a offrire i suoi parametri per guardare e giudicare se stessi e gli altri, la luce della fede ricolloca ciascuno nella Verità dell’amore. Gli errori e i peccati ci fanno male, ma non hanno più il potere di cancellare la speranza, perché la fede tiene sempre aperto lo spiraglio a una nuova possibilità, all’opera della Grazia che riconduce, piano piano, al compimento della volontà di Dio. 

Se abbiamo fede non c’è più giudizio e condanna, ma solo amore gratuito, nei riguardi di ogni parola e gesto di chi ci è accanto! Anche quando ci facciamo del male, sì, anche allora, è celato il Figlio, è vivo Cristo che il Padre ci dona per essere accolto nella fede e sperimentare, in ogni evento, la Vita eterna, l’amore oltre la morte e il peccato. 

Che famiglie, che matrimoni, che fidanzamenti, che amicizie quando si cammina insieme nella Chiesa che ci gesta alla fede! Essa, infatti, trasfigura l’esistenza, e la rende un luogo dove oltrepassare la barriera del peccato; ovunque e con chiunque, come il “vento” che abbraccia tutto senza condizioni. 

Ma “chi non crede è già condannato” a cercare vita in cisterne screpolate e senz’acqua, obbligato a darsi sempre più piacere, a soddisfare parossisticamente esigenze vecchie e nuove, perché il male non sazia mai, affama sino a uccidere. 

Chi rifiuta Cristo è “già” nell’inferno e “rimane nelle tenebre” che lo allontanano da Dio e dal fratello. E’ vero che portiamo l’esperienza dell’incredulità: tante volte abbiamo preferito le tenebre dei nostri sotterfugi, dei nostri desideri, delle nostre concupiscenze, dei nostri progetti da portare a termine a tutti i costi, a costo di passare sulla vita di chi ci è accanto. 

E’ vero che abbiamo tanto giudicato e rifiutato l’altro, incapaci di riconoscervi il volto di Cristo. E’ vero, abbiamo sperimentato tante volte la condanna di chi non crede: separazioni, divorzi, dolori, divisioni, lacerazioni e solitudine. 





Forse anche oggi siamo in una situazione di condanna, ma proprio per noi sono le parole del Vangelo, per noi è l’amore infinito di Dio. Forse proprio ora. Lasciamoci allora abbracciare da Gesù, così come siamo, fissiamo il suo sguardo che non ci giudica, che desidera solo di farci una cosa con Lui e trasformare la nostra condanna in assoluzione, la morte in vita. Desidera la nostra felicità, essere in Lui e Lui in noi, e insieme nel Padre inondati dello stesso Spirito, per rimanere da ora e per l’eternità nel suo amore.