venerdì 21 luglio 2017

No, la chiesa non può essere solo applausi.



Intervista a Gerhard Ludwig Müller
il Foglio

(a cura di Matteo Matzuzzi) Eminenza, si è fatto un’idea del perché il Papa abbia deciso di rimuoverla dalla guida della congregazione per la Dottrina della fede?
“No, non lo so, perché il Santo Padre non me l’ha detto. Mi ha solo informato che il mandato non sarebbe stato rinnovato. Ci sono state molte speculazioni sui mass media negli ultimi tempi, e direi che la nomina del nuovo segretario della congregazione (mons. Giacomo Morandi, ndr) resa nota martedì scorso è un po’ la chiave per comprendere queste manovre”. E’ sereno il cardinale Gerhard Ludwig Müller, teologo tedesco e per cinque anni prefetto di quello che fu il Sant’Uffizio, nominato da Benedetto XVI, confermato da Francesco che però lo scorso 30 giugno gli ha comunicato la decisione di fare a meno di lui. 
Con il Foglio ripercorre le tappe che hanno portato al suo allontanamento, alle controversie sull’interpretazione dell’esortazione post sinodale Amoris laetitia e, più in generale riflette sullo stato (pessimo) della religione in Europa. Eppure di un suo congedo si parlava da tempo, tant’è che erano perfino state ipotizzate dai media eventuali destinazioni diocesane per il curatore dell’opera omnia di Joseph Ratzinger.
“Io sono sempre stato tranquillo”, risponde però Müller: “Ritengo di aver adempiuto a tutti i miei compiti, e anche più del necessario. Della mia competenza teologica nessuno nutriva dubbi. Io sono sempre stato leale con il Papa, come richiede la nostra fede cattolica, la nostra ecclesiologia. Questa lealtà è sempre stata accompagnata dalla competenza teologica, per cui non si è mai trattato di lealtà ridotta a pura adulazione”.
E questo perché “il magistero ha bisogno di competenti consigli teologici, come del resto è ben descritto in Lumen gentium n. 25 e come prevede in modo chiaro il carisma dello Spirito santo attraverso il quale agiscono i vescovi e il Papa stesso come capo del collegio episcopale. Ma tutti noi siamo uomini e abbiamo bisogno di consigli e il contenuto della fede non si può spiegare senza un chiaro fondamento di studi biblici. La stessa cosa – prosegue – vale per lo sviluppo del dogma. Nessuno può elaborare un documento magisteriale senza conoscere i Padri della Chiesa, le grandi decisioni dogmatiche sulla teologia morale dei vari concili. Per questo esiste la congregazione per la Dottrina della fede, che è la più importante congregazione della curia romana. Conta due commissioni teologiche oltre ai consultori. Insomma, ha un compito chiaro e una grande responsabilità riguardo all’ortodossia della Chiesa”.
Ma è vero che come s’è letto da qualche parte, il suo ultimo colloquio con Francesco è stato teso e gelido? 
“Sono ricostruzioni totalmente false. Il Papa mi ha semplicemente informato della sua decisione di non rinnovarmi il mandato. Nulla di più. E’ stata un’udienza di lavoro, normale, alla fine della quale il Santo Padre mi ha comunicato la scelta. Il giorno dopo, sono stato congedato”. Qualche ipotesi però è stata fatta sulle ragioni della rottura e oltre alla presunta lentezza nel perseguire i casi d’abuso nel clero diversi organi di informazione hanno scritto di un’eccessiva esposizione mediatica, spesso a fare da contraltare al Papa. Un modus operandi diverso rispetto a quello dei suoi predecessori più immediati.
Il cardinale Müller sorride: “Mi sembra di poter dire che la presenza mediatica del cardinale Ratzinger fosse molto evidente, anche solo con i suoi grandi libri-intervista. E questo fa parte dell’incarico di prefetto, che non è un puro e semplice lavoro burocratico. Io, poi, ero conosciuto anche prima come teologo, contando numerose pubblicazioni. E comunque, me lo si consenta, anche il Papa usa il mezzo delle interviste. Il fatto è che oggi dobbiamo usare gli strumenti della comunicazione moderna, i giovani non sempre leggono i libri e i giornali. Utilizzano i social network, internet. E se vogliamo promuovere la fede – che è, ricordo, il compito principale della congregazione – dobbiamo entrare in dialogo con loro su queste piattaforme. Io non ho mai parlato del mio pensiero, della mia persona, in queste interviste. Ma della fede! E poi, ricordo, io sono vescovo e un vescovo ha l’obbligo di diffondere il Vangelo e non solo nelle sue omelie, bensì anche attraverso le discussioni scientifiche con i contemporanei”.
Noi, aggiunge, “non siamo una religione ristretta, un club. Siamo una Chiesa dialogante, la religione della Parola di Dio, che Cristo stesso ha consegnato ai suoi apostoli, esortando a insegnarla e predicarla in tutto il mondo”.
Va bene, però qualche tensione intra ecclesiam c’è, lo si può constatare facilmente. Si prenda ad esempio Amoris laetitia, il documento prodotto dal doppio Sinodo sulla morale famigliare. L’eminentissimo Christoph Schönborn, teologo pure lui e ispiratore della soluzione aperturista, ha di recente ribadito quanto la sua posizione sia opposta rispetto a quella di Müller. Dunque? 
“Può darsi che il cardinale Schönborn abbia una visione opposta alla mia, ma forse ne ha una opposta anche a quella che aveva lui prima, visto che ha cambiato posizione. Io penso che le parole di Gesù Cristo debbano essere sempre il fondamento della dottrina della Chiesa. E nessuno, fino a ieri, poteva dire che questo non era vero. E’ chiaro: abbiamo la rivelazione irreversibile di Cristo. E alla Chiesa è affidato il depositum fidei, cioè tutto il contenuto della verità rivelata. Il magistero non ha l’autorità di correggere Gesù Cristo. E’ Lui, semmai, che corregge noi. E noi siamo obbligati a obbedirgli; noi dobbiamo essere fedeli alla dottrina degli apostoli, chiaramente sviluppata nello spirito della Chiesa”.
Scusi, ma allora perché anche lei ha votato la relazione del circolo minore in lingua tedesca, scritta dallo stesso Schönborn e approvata da Walter Kasper?
“Il Sinodo ha chiaramente detto che i singoli vescovi sono responsabili di questo cammino, per portare le persone alla piena grazia sacramentale”, risponde il cardinale Gerhard Ludwig Müller al Foglio. “Questa interpretazione c’è, senza dubbio, ma io la mia posizione – privata e soggettiva – non l’ho mai cambiata. Ma come vescovo e cardinale lì rappresentavo la dottrina della Chiesa, che conosco anche nei suoi sviluppi fondamentali, dal Concilio di Trento alla Gaudium et spes , che rappresentano le due linee guida. Questo è cattolico, il resto appartiene ad altre credenze. Io – spiega – non capisco come si possano concordare diverse posizioni d’interpretazione teologica e dogmatica con le chiare parole di Gesù e di san Paolo. Entrambi hanno chiarito che non ci si può sposare una seconda volta se il legittimo partner è vivente”.
Comprende le ragioni che hanno portato i cardinali Burke, Brandmüller, Caffarra e il defunto Meisner a presentare al Papa cinque dubia sull’esortazione?
“Io non comprendo il motivo per cui non si avvii un dialogo con calma e serenità. Non capisco dove siano gli ostacoli. Perché fare emergere solo tensioni, anche pubbliche? Perché non organizzare una riunione e parlare apertamente su questi temi, che sono essenziali? Fino a oggi ho ascoltato solo invettive e offese contro questi cardinali. Ma questo non è né il modo né il tono per andare avanti. Noi siamo tutti fratelli nella fede e io non posso accettare discorsi sulle categorie ‘amico del Papa’ o ‘nemico del Papa’. Per un cardinale è assolutamente impossibile essere contro il Papa. Cionostante – prosegue l’ex prefetto del Sant’Uffizio – noi vescovi abbiamo il diritto direi divino di discutere liberamente. Vorrei ricordare che nel primo concilio tutti i discepoli hanno parlato in modo franco, favorendo anche controversie. Alla fine, Pietro ha dato la sua spiegazione dogmatica, che vale per tutta la Chiesa. Ma solo dopo, al termine di una lunga discussione animata. I concili non sono mai stati raduni armoniosi”.
Il punto è se Amoris laetitia rappresenti o meno una forma di discontinuità rispetto al magistero precedente. E’ così o no?
“Il Papa – dice Müller – tante volte ha dichiarato che non c’è un cambiamento nella dottrina dogmatica della Chiesa, e questo è evidente, anche perché non sarebbe possibile. Francesco voleva attrarre di nuovo queste persone che si trovano in situazioni irregolari rispetto al matrimonio, cioè come farli avvicinare alle fonti della grazia sacramentale. Ci sono i mezzi, anche canonici. A ogni modo, chi vuole ricevere la comunione e si trova in stato di peccato mortale deve ricevere sempre prima il sacramento della riconciliazione, che consiste nella contrizione del cuore, nel proposito di non peccare più, nella confessione dei peccati e nella convinzione di agire secondo la volontà di Dio. E nessuno può modificare questo ordine sacramentale, che è stato fissato da Gesù Cristo.
Possiamo semmai cambiare i riti esterni, ma non questo nucleo sostanziale. Ambiguità in Amoris laetitia? Può darsi e non so se siano volute. Se ci sono, le ambiguità hanno a che vedere con la complessità della materia e della situazione in cui si trovano gli uomini di oggi, nella cultura in cui sono immersi. Quasi tutti i fondamenti e gli elementi essenziali, oggigiorno, per popolazioni che superficialmente si definiscono cristiane, non sono più comprensibili. Da qui – aggiunge il cardinale – nascono i problemi. Noi abbiamo avanti due sfide, prima di tutto: chiarire qual è la volontà salvifica di Dio e interrogarci sul modo di aiutare pastoralmente questi nostri fratelli a camminare lungo la via indicata da Gesù”.
Il riaccostamento alla comunione dei divorziati risposati era una vecchia richiesta di parte dell’episcopato tedesco. 
“E’ vero, furono tre vescovi tedeschi, Kasper, Lehmann e Saier, che all’inizio degli anni Novanta lanciarono la proposta. Ma la congregazione per la Dottrina della fede la respinse definitivamente. Tutti hanno convenuto che bisognava discuterne ancora e finora nessuno ha abrogato quel documento”.
A proposito di Chiesa tedesca: da lì, negli ultimi tre anni, sono giunti i venti più forti del cambiamento, con il cardinale Marx che diceva davanti ai microfoni che “Roma non potrà mai dirci cosa fare o non fare in Germania”. Ma com’è la situazione, oggi, in quella terra?
“Drammatica”, dice subito Müller, che per dieci anni è stato vescovo di Ratisbona, prima di essere chiamato a Roma da Benedetto XVI. “La partecipazione activa e actuosa è molto diminuita, anche la trasmissione della fede non come teoria ma come incontro con Gesù Cristo vivo è calata. E così le vocazioni religiose. Questi sono segni, fattori da cui si vede la situazione della Chiesa. ma è tutta l’Europa che vive ormai un processo di decristianizzazione forzata, che va ben oltre la semplice
secolarizzazione. E’ – dice il nostro interlocutore – la decristianizzazione di tutta la base antropologica, con l’uomo definito strettamente senza Dio e senza la trascendenza. La religione è vissuta come un sentimento, ma non come adorazione di Dio creatore e salvatore. In questo grande quadro, tali fattori non sono buoni per la trasmissione della fede cristiana vissuta e per questo è necessario non perdere le nostre energie in lotte interne, in scontri l’uno contro l’altro, con i cosiddetti progressisti che cercano la vittoria cacciando tutti i cosiddetti conservatori. Se si ragiona così – dice Müller – si dà un’idea della Chiesa come di qualcosa di fortemente politicizzato. Il nostro a priori non è l’essere conservatore o progressista. Il nostro a priori è Gesù. Credere nella resurrezione, nell’ascensione o nel ritorno di Cristo nell’ultimo giorno è fede tradizionalista o progressita? No, questa è semplicemente la Verità. Le nostre categorie devono essere la verità e la giustizia, non le categorie che vanno secondo lo spirito del tempo”.
Il cardinale definisce “grave” la situazione corrente, perché “si è ridotta la prassi sacramentale, l’orazione, la preghiera. Tutti gli elementi della fede vissuta, della fede popolare, sono crollati. E il dramma è che non si sente più il bisogno di Dio, della parola sacra e visibile di Gesù. Si vive come se Dio non esistesse. Rispondere a tutto ciò è la nostra grande sfida. Noi non siamo agenti propagandisti delle nostre proprie verità, bensì testimoni della verità salvifica. Non di un’idea della fede, ma della realtà vissuta della presenza di Cristo nel mondo”.
Eminenza, ritiene che vi sia anche all’interno della Chiesa una certa cedevolezza allo Zeitgeist, lo spirito del tempo? 
“Il Papa emerito ha parlato dello spirito del tempo, ma già san Paolo aveva argomentato sullo spirito di Dio e sullo spirito del mondo. Questo contrasto è molto importante e va conosciuto. L’affermazione per la fede, la Chiesa e i vescovi, non è data dall’applauso di una massa non informata. E’ altro: il nostro lavoro è apprezzato e approvato quando riusciamo a convincere una persona a offrirsi totalmente a Gesù Cristo, mettendo la propria esistenza nelle mani di Gesù. Nella sua Prima lettera, san Pietro parla di Gesù Cristo pastore delle anime. Oggi si parla di responsabilità per la cultura e l’ambiente? Sì, ma abbiamo tanti laici competenti per questo. Gente che ha responsabilità in politica; abbiamo i governi e i parlamenti, e così via. Agli apostoli, Gesù non ha affidato il governo secolare del mondo. I vescovi-principi esistevano secoli fa, e non è stato un bene per la Chiesa”.
A proposito di decristianizzazione, chiediamo al cardinale Müller che ne pensi dell’“Opzione Benedetto”, il tema lanciato anni fa dallo scrittore Rod Dreher che ipotizza un modo per vivere da cristiani dentro l’occidente scristianizzato o, per dirla con l’ex prefetto per la Dottrina della fede, decristianizzato. L’essenziale da dire, spiega Müller, “è che i cristiani non possono tornare nelle catacombe. La dimensione missionaria è fondamentale per la Chiesa cattolica. Non possiamo evitare le battaglie contemporanee. Cristo ha detto di non essere venuto al mondo per ottenere una pace superficiale, bensì per sfidare, affinché i cristiani conquistino la grazia di vivere seguendo la strada da Lui indicata. E così dobbiamo fare anche quando le condizioni, come oggi, non sono favorevoli”.
E’ corretto dire che col presente pontificato è venuta meno la visione eurocentrica della Chiesa? 
“Il centro della Chiesa è Cristo, e dove c’è lui lì è il centro. Queste riflessioni sull’eurocentrismo della Chiesa sono finalizzate solo a darne una lettura politicizzata. Invece di parlare del Vangelo e della dottrina cattolica ci si lascia andare a strategie e teorie. Culturalmente è vero, l’Europa ha avuto un grande ruolo per il mondo, con tutti gli elementi positivi e negativi che ne sono conseguiti. Tra quelli negativi cito ad esempio il colonialismo, tra i positivi la filosofia della realtà, la metafisica e il diritto”.
Un’ultima domanda, su una questione che ha visto Müller in un ruolo di primo piano, e cioè l’ipotizzata riconciliazione con la Fraternità San Pio X, la comunità fondata dal vescovo francese Marcel Lefebvre.
“La riconciliazione di questo gruppo con la Chiesa cattolica è assolutamente necessaria. Gesù non ha voluto separazioni. Ma quali sono le condizioni per vivere una piena comunione? Io penso che le condizioni debbano essere uguali per tutti. Abbiamo la professione di fede, non si può scegliere cosa accettare e cosa no. Tutti devono professarla. Tutti i concili ecumenici devono essere accettati, così come il magistero vivo della Chiesa. Intendere il Vaticano II come una rifondazione della Chiesa è un’assurdità. Gli abusi, le ideologie e i malintesi non sono di certo conseguenza del Vaticano II”.