giovedì 7 settembre 2017

La politica e la società secondo Papa Francesco



PARIGI (Vatican Insider)

Annunciato nei giorni scorsi dall’emittente France 2 che ha bruciato di poco sul tempo l’ampia esclusiva del quotidiano Le Figaro uscita contemporaneamente solo su La Stampa-Vatican Insider , subito oggetto di frammentate anticipazioni sulla stampa italiana, esce oggi in Francia, frutto di dodici colloqui calorosi disseminati lungo l’ultimo anno nell’intimità di Santa Marta e pubblicato dalle Éditions de l’Observatoire, il volume-intervista a Papa Bergoglio scritto dal sociologo Dominique Wolton, un autore noto che ha all’attivo diversi saggi di taglio politico o di libri-intervista (ad esempio il filosofo Raymond Aron, il cardinale Jean-Marie Lustiger, l’economista ed ex presidente della Commissione europea Jacques Delors). 
  
Nonostante le anticipazioni Oltralpe o di casa nostra tese a dar risalto a confidenze - inedite e non- che si affacciano fra le pagine (gli incontri ogni settimana per sei mesi da una psicanalista ebrea quando Bergoglio aveva 42 anni; le fidanzatine del periodo dell’adolescenza; la scoperta della musica sui quindici anni; il rischio di morte a ventidue anni per un’infezione polmonare; le relazioni con i familiari, le nonne «vere grandi donne», la madre, i cugini piemontesi; la sua lontananza dal piccolo schermo dagli anni ’90 «per un voto fatto alla Madonna»), le conversazioni a ruota libera del pontefice con l’intellettuale francese ruotano però - come esplicita in modo sobrio e corretto il titolo “Politique et societé” - attorno a questi due grandi temi. E in realtà tengono sempre presenti sullo sfondo almeno due tra le più ricorrenti domande della storia della Chiesa: quella sulla natura del suo impegno sociale e politico, e quella sul rapporto con la modernità.  
  
Insomma quale la differenza della Chiesa con gli altri “attori” che occupano lo scenario internazionale? Una questione che si pone ogni qual volta i testi del Vangelo, dei Padri, le pronunce delle gerarchie, del Magistero, del Papa, spingono verso interventi destinati ai più deboli, agli esclusi. E quale significato ha la modernità per un Pontefice pronto a indicarne un duplice volto se, come afferma, «c’è la modernità che si vede ora. E la Chiesa deve accettare i modi di vita odierni», ma «c’è un altro significato che è assimilato alla mondanitàE questa è una parola negativa per i cristiani. Il cristiano non può essere mondano»?   
  
Legando spiritualità e politica, ed esponendo la Chiesa stessa al rischio d’essere percepita come una presenza politica mondiale, Papa Francesco qui non si sottrae ad offrire le sue risposte parlando di pace e guerra; migrazioni («Il problema inizia nei Paesi da cui arrivano i migranti. Perché lasciano la loro terra? A causa della mancanza di lavoro o della guerra. Questi sono i due motivi principali»); laicità e secolarizzazione («Lo Stato deve essere laico [...]. Un paese laico, è quello in cui c’è spazio per tutti. È la trascendenza per tutti, mentre “la secolarizzazione è un movimento [...], è come una “malattia” che chiuderebbe porte e finestre a ciascun tipo di trascendenza. Tutto dovrebbe farsi al proprio interno. Ecco, una cattiva laicità, un laicismo esagerato»); politica e fede («I cristiani devono impegnarsi. Ma non creare un “partito cristiano”, si può fare un partito con valori cristiani senza che esso sia cristiano»); rapporti fra culture e religioni; islam («Penso che farebbe bene a loro fare uno studio critico sul Corano, come abbiamo fatto con le nostre Scritture. Il metodo storico e critico di interpretazione li farà evolvere»); dialogo interreligioso e proselitismo (che «non è molto cattolico» e «distrugge l’unità»); tradizione (definita «la dottrina che è in cammino e avanza») e modernità («ben differente dalla mondanità»); Europa («Credo sia diventata una “nonna”, mentre vorrei vedere una Europa “madre”»); statuto dell’individuo, della famiglia, dei costumi; gender; le donne («Hanno un grande ruolo da giocare nell’unità europea. E nelle guerre. Nelle due guerre mondiali le vere eroine sono state le donne»); prospettive universaliste e via dicendo.   
  
Rari invece in questo dialogo riferimenti a conflitti politici o istituzionali esistenti nella Chiesa, insomma “ad intra” se non portatori di conseguenze “ad extra”. E se la weltanschauung di Papa Francesco per la Chiesa come per la società è ormai ben delineata per chi conosce gesti e parole costellanti sin qui il suo pontificato, non mancano nelle risposte a Wolton precisazioni franche e immediate in perfetto stile bergogliano, accompagnate da testi tratti dai maggiori interventi papali. Pagina dopo pagina possiamo trovare citazioni illuminanti di Papi predecessori (numericamente quasi equivalenti – circa una decina - quelle di Paolo VI, Papa della “Populorum progressio ”, e quelle di Giovanni Paolo II a proposito della sua «teologia del corpo», ma non manca Benedetto XVI citato soprattutto per l’«ermeneutica della continuità» che deve accompagnare «i cambiamenti nella Chiesa», Pio XI evocato proprio per la sua comprensione della dimensione caritativa della «politica», e un cenno a Pio XII per i bambini ebrei nati a Castel Gandolfo).  
  
Si affacciano poi tra le righe rimandi a teologi e pensatori (raccomandatissime le letture di Romano Guardini, «l’uomo che ha capito tutto»), antropologi (come Rodolfo Kusch dal quale Bergoglio riconosce di aver appreso che la parola «popolo» è un «termine mitico» e non «logico»), scrittori quali Péguy («morto senza battesimo» ma che, dice il Papa, «era più cristiano di me») o Bernanos (che, afferma Bergoglio, «ha capito il popolo, ha compreso questa categoria mitica»).  
  
Papa Francesco, infine, si dice convinto che sì «ci sono alcuni architetti, pittori, poeti – anzi grandi poeti - ma non c’è più Dante»: assenza che motiva come «conseguenza del mondo degli affari e della superficialità, della mondanità». Vi è poi altro da osservare. Nel libro ci si imbatte su giudizi su statisti di ieri (Francesco non vede più modelli come «Schumann, Adenauer, De Gasperi») e di oggi (la Merkel «è indiscutibilmente un grande leader europeo», ma anche Tsipras per le sue riflessioni «è un politico del futuro»).  
  
In ogni caso il confronto tra il Papa e Wolton vola alto: categorie, aporie, analisi generali, modelli, codici… E c’è qualcosa che fa percepire l’esito di veri incontri e di una progressiva sintonia, che rammenta, a tratti, i resoconti degli incontri fra Paolo VI e Jean Guitton, o Giovanni Paolo II e Frossard. Tutto nel pensiero del primo Papa latinoamericano, ma che non ha nostalgia dell’Argentina: da dove è partito per il conclave con il biglietto di ritorno, lasciandosi però invadere da «una grande pace» già alla fine del Conclave («E questa pace non mi ha abbandonato sino ad oggi. Questa pace, credo, è un dono del Signore. Da qui penso il fatto che l’Argentina non mi è mancata»). E tutto nel pensiero di un Vescovo di Roma che si rivela qui «socialmente un po’ francescano; intellettualmente un po’ domenicano; politicamente un po’ gesuita», sempre «molto umano» e «libero» e «senza paure». Un Papa che non esita ad ammettere di aver appreso a «pensare la realtà politica» anche da una militante comunista paraguayana uccisa durante la dittatura (si chiamava Esther Ballestrino de Careaga). Un Successore di Pietro che paragona la sua autorità ad un iceberg: «Si vede l’autorità papale, ma è la verità della Chiesa universale che è il fondamento. Giriamo l’iceberg: il servizio del Papa sta sotto. È per questo che la concezione dell’autorità nel vangelo di Gesù è il servizio: il Papa deve servire tutto il mondo».  
  
E come «Servus servorum Dei» ci ricorda anche la vera bussola per gli uomini di oggi in cammino: il Vangelo che, avverte, «si deve leggere con l’anima aperta, senza pregiudizi, senza idee preconcette». Perché? «Perché il Vangelo è un annuncio. Deve essere accolto come si riceve qualcosa di totalmente nuovo. Se lo si riceve in un certo modo come sterilizzato, o come un manifesto ideologico, il Vangelo non può entrarti dentro».