giovedì 12 ottobre 2017

Traduzioni e liturgia



di Riccardo Cascioli (Lanuovabq)

Quando il 9 settembre scorso fu reso noto il Motu Proprio di papa Francesco, Magnum Principium, i soliti noti hanno gridato al “Liberi tutti” per le traduzioni dei testi liturgici. Così ora interviene il prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il cardinale Robert Sarah, a ribadire alcuni punti fermi e a rimettere nel giusto equilibrio il rapporto tra Santa Sede e Conferenze episcopali per evitare una sorta di “federalismo liturgico”. Non si tratta di un documento ufficiale della Congregazione, ma di una iniziativa personale del Prefetto, un «contributo per la corretta comprensione di Magnum Principium», come il cardinale Sarah titola la sua letterache la Nuova BQ pubblica in esclusiva per l’Italia.
Della partita che si sta giocando sulle traduzioni dei testi liturgici abbiamo già parlato, è una questione delicata che va a toccare gli stessi contenuti della fede. Per capire dove può andare a parare Magnum Principium, basta leggere i commenti del liturgista Andrea Grillo, uno dei personaggi che ha lavorato con il segretario della Congregazione per il Culto Divino, monsignor Arthur Roche, per promuovere i cambiamenti nei criteri delle traduzioni dal latino in senso contrario a quanto auspicato da papa Benedetto XVI e prima ancora da san Giovanni Paolo II. Grillo (clicca qui), che si è distinto recentemente anche per una serie di invettive contro il cardinale Sarah, ha spiegato che l’obiettivo è superare l’istruzione Liturgiam Authenticam (2001), che richiedeva una traduzione letterale dei testi dal latino, a favore di una interpretazione che li renda più comprensibili alla popolazione locale. Grillo parla esplicitamente di “diritto all’interpretazione”, sottintendo il maggiore potere che le Conferenze Episcopali devono avere in materia.
In linea di principio il cardinal Sarah – riprendendo quanto già osservava il cardinale Ratzinger (poi Benedetto XVI) – non obietta affatto alla distinzione tra traduzione e interpretazione, ma si preoccupa che questa non copra la voglia di rivoluzione che alcuni stanno portando avanti. E per capire appieno l’iniziativa del cardinale Sarah, va ricordato che la commissione che ha lavorato alla preparazione del Motu Proprio, lo ha fatto alle sue spalle, tenendolo volutamente all’oscuro.
Entrando nel merito del documento firmato dal cardinale Sarah, come dicevamo emerge chiara la preoccupazione che la distinzione che viene fatta in Magnum Principium tra traduzione (= la resa del testo liturgico in lingua vernacola a partire dall’originale “tipico” latino) e adattamento (= un nuovo testo aggiunto, un nuovo rito o la modifica di un rito esistente) non diventi il pretesto per far passare di tutto. Il nuovo canone 838 prevede infatti un diverso tipo di approvazione da parte della Santa Sede:  la confirmatio/conferma per le traduzioni e la recognitio/revisione per gli adattamenti (cfr su questo più ampiamente padre Riccardo Barile in la NBQ).
Ecco dunque in breve i principali chiarimenti proposti dal cardinale Sarah:
1. Per le traduzioni restano in vigore le norme attuali di Liturgiam autenthicam (2001), che richiedono la fedeltà e insieme offrono i criteri per l’adattamento linguistico nel passaggio dal latino alle lingue parlate.
2. Sia la confirmatio che la recognitio stabiliscono che sempre è necessaria l’approvazione della Santa Sede e, dal punto di vista dell’approvazione, quasi non sembra esserci differenza e sono intercambiabili. Anche la conferma richiede la revisione del testo tradotto.
3. C’è differenza invece nel risultato finale, perché la traduzione è la semplice trasposizione di un libro liturgico dal latino a una lingua parlata, mentre l’adattamento modifica poco o tanto la edizione tipica dello stesso libro per quella lingua o area linguistica.
4. Il card. Sarah prevede e auspica una differenza anche nel procedimento previo: infatti la traduzione sembra più affidata direttamente alle Conferenze Episcopali le quali poi chiederebbero la conferma alla Santa Sede, mentre gli adattamenti, data la loro natura più delicata, per giungere alla auspicata recognitio finale, sembrerebbero richiedere un più opportuno lavoro di concertazione previa tra le Conferenze Episcopali interessate e la Santa Sede. Ovviamente tale concertazione previa sarebbe auspicabile anche per le traduzioni, non in tutto, ma almeno per la traduzione di alcuni termini particolarmente fondamentali e delicati in ordine all’espressione della fede e della preghiera della Chiesa.
Questi chiarimenti non piaceranno sicuramente ai soliti “Guardiani della rivoluzione” e ad alcuni episcopati che mal sopportavano le precedenti disposizioni. Vedi ad esempio la conferenza episcopale tedesca, che ha appena annunciato lo stop alla traduzione in tedesco del messale. Il cardinale Reinhard Marx, secondo quanto riportato dalla testata britannica The Tablet, considera finita “Liturgiam Authenticam” e quindi decadute tutte le precedenti disposizioni. Il lavoro sul messale tedesco si era arenato sulle parole della consacrazione eucaristica, una questione che stava molto a cuore a Benedetto XVI. Quando si parla del sangue versato da Cristo, il “pro multis” latino viene tradotto da molti episcopati con “per tutti” anziché “per molti”, come sarebbe letteralmente. Benedetto XVI aveva dunque invitato tutti gli episcopati del mondo a correggere la traduzione – risultando “per molti” la versione corretta -, ma non tutti si sono ancora adeguati: fra questi la Germania, che ora si sente libera di fare la sua strada.
(Ha collaborato padre Riccardo Barile)

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Il documento integrale del cardinal
 Sarah

Umile contributo per una migliore e corretta comprensione del Motu Proprio Magnum Principium.


La “recognitio” degli adattamenti e la “confirmatio” delle traduzioni nel canone 838
Il 3 settembre 2017, il Santo Padre ha promulgato il Motu Proprio Magnum Principium, sulle traduzioni liturgiche, che modifica i paragrafi 2 e 3 del canone 838 del Codice di Diritto Canonico. È con rispetto e riconoscenza che accogliamo questa iniziativa del Sommo Pontefice, che permette di stabilire ancora più chiaramente e rigorosamente le rispettive responsabilità delle Conferenze Episcopali e della Santa Sede, per una collaborazione di fiducia, fraterna e intensa a servizio della Chiesa. Questo punto, che costituisce, in qualche modo, il cuore del Motu Proprio, viene approfondito nella Lettera dello scorso 26 settembre, che la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha indirizzato alle Conferenze Episcopali. È in questa prospettiva che è stato redatto questo umile contributo, a partire dalla seguente osservazione: da parte del nostro Dicastero, la collaborazione al lavoro di adattamento e di traduzione delle Conferenze Episcopali è inclusa totalmente in queste due parole del canone 838: «recognitio» e «confirmatio». Che cosa significano esattamente? Lo scopo di questo semplice testo è rispondere a questa domanda.
Codice di Diritto Canonico
Il canone 838 prima di “Magnum Principium”
Can. 838 — § 1. Sacrae liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet: quae quidem est penes Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, penes Episcopum dioecesanum.
 § 2. Apostolicae Sedis est sacram liturgiam Ecclesiae universae ordinare, libros liturgicos edere eorumque versiones in linguas vernaculas recognoscere, necnon advigilare ut ordinationes liturgicae ubique fideliter observentur.
 § 3. Ad Episcoporum conferentias spectat versiones librorum liturgicorum in linguas vernaculas, convenienter intra limites in ipsis libris liturgicis definitos aptatas, parare, easque edere, praevia recognitione Sanctae Sedis.
§ 4. Ad Episcopum dioecesanum in Ecclesia sibi commissa pertinet, intra limites suae competentiae, normas de re liturgica dare, quibus omnes tenentur.
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Can. 838 - §1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall'autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano.
§2. È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici e autorizzarne le versioni nelle lingue correnti, nonché vigilare perché le norme liturgiche siano osservate fedelmente ovunque..
§3. Spetta alle Conferenze Episcopali preparare le versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti, dopo averle adattate convenientemente entro i limiti definiti negli stessi libri liturgici, e pubblicarle, previa autorizzazione della Santa Sede.
§4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti.

Canone 838 attualmente in vigore (“Magnum Principium”)
Can. 838 - § 1. Idem
§ 2. Apostolicae Sedis est sacram liturgiam Ecclesiae universae ordinare, libros liturgicos edere, aptationes, ad normam iuris a Conferentia Episcoporum approbatas, recognoscere,necnon advigilare ut ordinationes liturgicae ubique fideliter observentur.
§ 3. Ad Episcoporum Conferentias spectat versiones librorum liturgicorum in linguas vernaculas fideliter et convenienter intra limites definitos accommodatas parare et approbare atque libros liturgicos, pro regionibus ad quas pertinent, post confirmationem Apostolicae Sedis, edere.
§ 4. Idem
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Can. 838 - § 1. Idem
§ 2. È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici, rivedere (recognescere-recognitio) gli adattamenti approvati a norma del diritto dalla Conferenza Episcopale, nonché vigilare perché le norme liturgiche siano osservate ovunque fedelmente.
§ 3. Spetta alle Conferenze Episcopali preparare fedelmente le versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti, adattate convenientemente entro i limiti definiti, approvarle e pubblicare i libri liturgici, per le regioni di loro pertinenza, dopo la conferma (confirmatio) della Sede Apostolica.
§ 4. Idem
NOTA: c 838 § 3: le parole «aptatas» (vecchio canone) e «accomodatas» (nuovo canone) sono sinonime, da cui la traduzione italiana unica «adattate convenientemente entro i limiti definiti». Il cambiamento di parola è giustificato, in latino, dal contesto, ossia l’eliminazione della menzione «in ipsis libris liturgicis» («negli stessi libri liturgici») nel nuovo c. 838 § 3.

Commento
1. Occorre rilevare che il testo di riferimento delle traduzioni liturgiche rimane l’Istruzione Liturgiam authenticam (L.A.) del 28 marzo 2001. Le traduzioni fedeli («fideliter»), realizzate e approvate dalle Conferenze Episcopali devono, di conseguenza, essere conformi in ogni punto alle norme di questa Istruzione. Non si rileva, pertanto, alcun cambiamento in merito ai requisiti necessari e al risultato obbligatorio per ogni libro liturgico. Come si vedrà più avanti, dato che le parole recognitio e confirmatio, pur non essendo strettamente sinonime, nondimeno sono intercambiabili, è sufficiente sostituire la prima con la seconda all’interno dell’Istruzione L.A. . Questo vale in particolare per i nn. 79-84.
2. Le modifiche al canone 838 riguardano unicamente i paragrafi 2 e 3 e, in particolare, questi due punti: A) La distinzione tra «adattamento», per il quale è richiesta la recognitio, e «traduzione», per la quale è richiesta la confirmatio della Sede Apostolica. B) Per quanto riguarda le traduzioni  liturgiche, l’affermazione esplicita che spetta alle Conferenze Episcopali preparare fedelmente («fideliter») le traduzioni (versioni nelle lingue correnti) dei libri liturgici, approvarle e pubblicare i libri liturgici, dopo aver ottenuto la conferma della Sede Apostolica. Importante sottolineatura: la novità riguarda unicamente il precitato punto A: la distinzione tra recognitio e confirmatio. Il punto B è l’inscrizione «nel marmo» del Codice di Diritto Canonico della pratica abituale e costante che viene seguita a partire dalla prima Istruzione sulle traduzioni liturgiche, Comme le prévoit, del 25 gennaio 1969, e, a fortiori, dalla promulgazione della Liturgiam Authenticam nel 2001.
3. La recognitio è definita dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, in un testo del 2006, come «una conditio iuris che, per volontà del Legislatore Supremo, è richiesta ad validitatem» (Cf. Communicationes 38, 2006, 16). Di conseguenza, se la recognitio non è accordata, il libro liturgico non può essere pubblicato. Lo scopo della recognitio è verificare e salvaguardare la conformità al diritto e la comunione della Chiesa (la sua unità).
4. La confirmatio (conferma) è utilizzata dal Codice di Diritto Canonico (CIC) in diverse circostanze: ecco tre esempi: A) In caso di elezione che necessita di essere confermata da un’autorità superiore (cf. c. 147, 178, 179); B) La conferma dei decreti del Concilio ecumenico, da parte del Pontefice Romano, prima della loro promulgazione (c. 341 § 1). C) Il decreto di espulsione di un religioso, che può entrare in vigore solo dopo la conferma da parte della Santa Sede o del vescovo diocesano secondo la natura – di diritto pontificio o di diritto diocesano – dell’istituto (c. 700). In tutti questi casi, c’è un responsabile che agisce secondo l’autorità che gli è propria, e un’autorità superiore che deve confermare la sua decisione per verificare e salvaguardare la conformità al diritto. Di conseguenza, se una Conferenza episcopale ha preparato e approvato la traduzione di un libro liturgico, non può pubblicarlo senza previa conferma da parte della Sede Apostolica. Nei precitati casi richiedenti la confirmatio, l’autorità superiore, prima di confermarlo, è tenuta a verificare la conformità dell’atto al diritto in vigore; allo stesso modo, la Sede Apostolica, deve accordare la confirmatio solo dopo aver debitamente verificato che la traduzione sia «fedele» («fideliter»), ossia conforme al testo dell’editio typica in lingua latina in base ai criteri enunciati dall’Istruzione Liturgiam authenticam sulle traduzioni liturgiche.
5. Analogamente alla recognitio, la confirmatio non è in nessun caso un atto formale, ossia una sorta di approvazione da accordare dopo una rapida verifica del lavoro sulla base di una presunzione favorevole a priori, secondo cui la traduzione approvata dalla Conferenza episcopale è stata realizzata fedelmente («fideliter»). Inoltre, come per la recognitio richiesta nel vecchio c. 838 § 3, la confirmatio presuppone e implica una verifica dettagliata da parte della Santa Sede, e la possibilità, per quest’ultima, di condizionare sine qua non la confirmatio alle modifiche di certi punti che potrebbero essere richieste a causa della non-conformità dei punti stessi al criterio di «fedeltà», ormai inscritto nel Codice di Diritto Canonico. La decisione della Santa Sede verrebbe, quindi, imposta alla Conferenza Episcopale. Notiamo come, a questo riguardo, sia questa la mens di questa norma, che corrisponde all’interpretazione che di essa è stata data dal Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, S.E. Mons, A. Roche nel suo Commento al Motu Proprio Magnum Principium:
«La confirmatio della Sede apostolica non si configura pertanto come un intervento alternativo di traduzione, ma come un atto autoritativo con il quale il dicastero competente ratifica l’approvazione dei vescovi. Supponendo ovviamente una positiva valutazione della fedeltà e della congruenza dei testi prodotti rispetto all’edizione tipica su cui si fonda l’unità del rito, e tenendo conto soprattutto dei testi di maggiore importanza, in particolare le formule sacramentali, le preghiere eucaristiche, le preghiere di ordinazione, il rito della messa, e via dicendo». 
Quindi, per esempio, se, nel Credo del rito della Messa, l’espressione «consubstantialem Patri», viene tradotta in francese con: «de même nature que le Père» («della stessa sostanza del Padre»), la Santa Sede può – e deve (cf. n.6) - imporre la traduzione «consubstantiel au Père» («consustanziale al Padre»), come condizione sine qua non della sua confirmatio del Messale Romano, in lingua francese, nel suo complesso.
6. Si constata, pertanto, che la modifica del testo del c. 838 § 3 (la recognitio è sostituita dalla confirmatio) non modifica in alcun modo la responsabilità della Santa Sede, né, di conseguenza, le sue competenze in merito alle traduzioni liturgiche: la Sede Apostolica è tenuta a verificare che le traduzioni realizzate dalle Conferenze Episcopali siano «fedeli» («fideliter») all’editio typica in lingua latina allo scopo di garantire, salvaguardare e promuovere la comunione nella Chiesa, ossia la sua unità.
7. Le parole recognitio e confirmatio non sono strettamente sinonime per le due seguenti ragioni:
A) La parola recognitio è riservata agli adattamenti approvati dalle Conferenze Episcopali secondo le norme del diritto (ad normam iuris) (c. 838 § 2), mentre la parola confirmatio fa riferimento alle traduzioni liturgiche (c. 838 § 3). Questa differenziazione è positiva, in quanto ha il merito di distinguere, d’ora in avanti, in modo netto, due ambiti molto diversi: l’adattamento e la traduzione. Pur essendo intercambiabili a livello di responsabilità della Santa Sede (cf. n.6), le due parole non sono strettamente sinonime rispetto al loro effetto sull’editio typica. Innanzitutto, gli adattamenti realizzati ad normam iuris modificano l’editio typica in certi casi determinati dal diritto (cf. per il Messale Romano, l’Institutio Generalis Missalis Romani – Ordinamento Generale del Messale Romano, cap.9, nn. 386-399), da cui la necessità di una recognitio. Le traduzioni non modificano l’editio typica, al contrario, devono essere fedeli a essa («fideliter»), da cui la necessità di una confirmatio. Occorre, pertanto, sottolineare nuovamente questo importante punto: lungi dall’essere una sorta di recognitio attenuata o indebolita, il vigore della confirmatio è forte tanto quanto la recognitio a cui si faceva riferimento nel vecchio c. 838 § 3.
B) In secondo luogo, rispetto alla recognitio, la confirmatio sembra avere un carattere più unilaterale, che entra in gioco alla fine dell’iter: preparazione-approvazione da parte della Conferenza Episcopale. Si potrebbe, infatti, pensare che, per via della sua natura, la recognitio, che, come la confirmatio, entra in gioco a posteriori, presupponga una concertazione preliminare durante il processo del lavoro traduttivo, il che permette di preparare un testo accettabile da parte di entrambe le parti. Nel c. 838 § 3, modificato dal Motu Proprio Magnum Principium, la confirmatio da parte della Santa Sede, deve essere messa in prospettiva con «fideliter» e «approbatio» («approbare») da parte delle Conferenze Episcopali. Nella misura in cui, ormai, la Conferenza Episcopale è chiamata esplicitamente, dalla norma del Diritto Canonico, ad «approvare» traduzioni «fedeli» al testo latino dell’editio typica, la Santa Sede fa affidamento a priori alla Conferenza Episcopale. Quindi, solitamente, la Santa Sede interviene nel lavoro della Conferenza Episcopale, solo dal momento della confirmatio, che costituisce un atto finale o conclusivo (tuttavia, cf. a questo riguardo n.5). È evidente che la procedura della confirmatio può altresì dar luogo a degli scambi preliminari, nel momento in cui la Conferenza Episcopale indirizza una richiesta in questo senso alla Santa Sede o nel momento in cui è prevista una procedura di mutua concertazione da entrambe le parti, il che può sembrare auspicabile.
Conclusione
La realtà della «recognitio» e della «confirmatio» è inscritta nella nostra vita quotidiana: infatti, consapevoli dei nostri limiti, ci appelliamo, per natura, a un’altra persona affinché «verifichi» il lavoro che, facendo del nostro meglio, abbiamo svolto; in questo modo, a partire dalle osservazioni di quest’altra persona, o, addirittura, se necessario, dalle sue correzioni, possiamo migliorarlo. Questa è la responsabilità del professore nei confronti dello studente che prepara una tesi o, più semplicemente, dei genitori nei confronti dei compiti a casa dei figli e anche, più in generale, delle autorità accademiche o tutelari … La nostra vita è, quindi, intessuta di «recognitio» e di «confirmatio», che ci permettono di progredire verso una maggiore «fedeltà» rispetto alle esigenze del reale e in tutti gli ambiti del sapere al servizio di Dio e del prossimo (cf. la parabola dei talenti, Mt 25, 14-30). La «recognitio» e la «confirmatio» da parte della Santa Sede, che presuppongono una collaborazione di fiducia, fraterna e intensa con le Conferenze Episcopali, rientrano in questo quadro. Come dice in modo ammirevole il Motu Proprio del Santo Padre, a cui fa riferimento la Lettera del 26 settembre indirizzata alle Conferenze Episcopali, si tratta «di rendere più facile e più fruttuosa la collaborazione tra la Sede Apostolica e le Conferenze Episcopali».
Città del Vaticano, 1° ottobre 2017
Card. Robert Sarah,
Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti
(traduzione di Davide Polenghi)