giovedì 1 marzo 2018

Eresie e tendenze culturali di oggi




Sulle «antiche eresie» evocate dalla letteraPlacuit Deo della Congregazione per la dottrina della fede in rapporto ad alcune tendenze culturali contemporanee che rendono difficile la comprensione della salvezza cristiana pubblichiamo due testi storici. Si tratta di un capitolo del libro di Manlio Simonetti Classici e cristiani. Alle radici del mondo occidentale (cura e prefazione di Giovanni Maria Vian, Milano, Medusa, 2007) e, in una nostra traduzione, della voce dedicata a Pelagio e al pelagianesimo tratta da The Oxford Dictionary of Christian Church (Edited by Frank L. Cross. Third Edition edited by Elizabeth A. Livingstone, Oxford University Press 1997).

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Le antiche dottrine gnostiche

Furono combattute soprattutto da Ireneo, Tertulliano, Clemente e Origene

di Manlio Simonetti
La pubblicazione del Vangelo di Giuda e il gran parlare sul Codice da Vinci hanno fatto conoscere, molto al di là del ristretto ambito degli studiosi, un fenomeno religioso caratteristico e caratterizzante del mondo antico, lo gnosticismo. Il termine deriva dalla parola greca gnòsis, conoscenza, e in effetti, per citare una pagina gnostica divenuta popolarissima, la gnosi fa conoscere ai suoi iniziati «chi siamo, che cosa siamo diventati; dove siamo, dove siamo stati precipitati; dove tendiamo, donde siamo purificati, che cosa è la generazione, che cosa è la rigenerazione» (Clemente di Alessandria, Estratti da Teodoto, 78): conoscenza, peraltro, conseguita non con sforzo di ragione ma per rivelazione divina riservata a pochi eletti.
Siamo, più o meno, agl’inizi del ii secolo dopo Cristo, in un’area di confine tra mondo ebraico e mondo pagano, in un ambiente che coinvolge in modo diretto la nascente religione cristiana. In quest’area, dove s’intrecciano e confondono influssi culturali diversi, non è facile individuare la precisa culla d’origine dello gnosticismo, che comunque si diffonde quasi esclusivamente nel mondo cristiano. Il sentimento che spinge lo gnostico a cercare una risposta diversa da quella proposta da cristiani, ebrei e pagani è un senso di alienazione: egli si sente infatti come imprigionato nel mondo materiale in cui si trova a vivere — mondo dominato dalla forza ineluttabile del destino e avvertito come estraneo — e attende la liberazione. Questa sottrarrà al carcere mondano il germe divino posseduto dentro di sé e lo riunirà al mondo divino da cui esso proviene.
Questo confuso coacervo di sentimenti prende forma e si razionalizza in una dottrina che, pur articolata in sistemi diversi (valentiniani, basilidiani, sethiani, eccetera), presenta una griglia unitaria e caratterizzata da una coerente struttura logica rivestita dei colori del mito. La valutazione negativa del mondo attuale e di quanto è corporeo contrappone la materia al mondo divino spirituale (Pleroma), da dove vari esseri divini (eoni) vengono emanati, a partire dal Dio sommo e inconoscibile, in una serie digradante in cui si annida progressivamente alcunché di imperfetto. Di qui l’evento fondante di questo mondo: un errore, un peccato a opera di un personaggio divino, che provoca un’emissione imperfetta di semi divini al di fuori del Pleroma.
La creazione del mondo materiale e di quanto vi è contenuto — a opera di un dio inferiore, il Demiurgo — è finalizzata alla conservazione, educazione e recupero di questi semi divini, che sono incorporati, per imperscrutabile disegno divino, solo in alcuni uomini, per ciò stesso privilegiati rispetto a tutti gli altri. Il momento decisivo in questo processo di recupero si ha con la discesa nel mondo di un Salvatore celeste, il Cristo superiore, che prende corpo nell’uomo Gesù, la cui predicazione raggiungerà gli uomini spirituali depositari del seme divino — gli gnostici, appunto — e rivelerà loro chi effettivamente essi siano. Il momento in cui lo gnostico acquista coscienza del suo vero essere, prima oppresso e obnubilato dal suo involucro corporeo, costituisce la rinascita, la risurrezione dai morti. E quando i semi spirituali immersi nel mondo avranno acquisito coscienza del loro vero essere, tutti insieme rientreranno nel Pleroma, mentre quanto è materiale sarà distrutto.
Questa dottrina, al di là del rivestimento mitologico in definitiva accessorio, contrastava quella della Chiesa cattolica in due punti fondamentali: divideva l’unico Dio della rivelazione cristiana — distinguendo il Dio sommo (rivelato da Cristo) dal Demiurgo, il creatore conosciuto dalla tradizione giudaica — e suddivideva gli uomini in nature diverse, in quanto il seme divino era stato riservato a pochi eletti, sì che Cristo non avrebbe redento tutti gli uomini ma solo gli gnostici. Perciò lo gnosticismo fu combattuto, nel ii e III secolo, dai dottori della Chiesa cattolica (Ireneo, Tertulliano, Clemente, Origene) e alla fine del III secolo era quasi ovunque emarginato. Ma l’acuta percezione del male e la sua localizzazione nel mondo materiale, tipiche dello gnosticismo, hanno poi alimentato altri movimenti religiosi: dal manicheismo, diffuso a partire dal tardo III secolo in vaste regioni d’Oriente, fino al catarismo medievale in Italia e Francia. E le forti contraddizioni sociali del nostro tempo hanno favorito la nascita di movimenti religiosi neognostici soprattutto negli Stati Uniti.
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Pelagio, chi era costui?

Dal punto di vista teologico il pelagianesimo è l’eresia secondo la quale l’uomo può compiere i primi e fondamentali passi verso la salvezza con le proprie forze, a prescindere dalla grazia divina. Storicamente fu un movimento ascetico formato da elementi disparati uniti sotto il nome del teologo ed esegeta britanno Pelagio, che insegnò a Roma tra la fine del iv secolo e l’inizio del v.
In sostanza il pelagianesimo fu un movimento di laici, aristocratico per tono e per appartenenza, che sorse a Roma attorno al 380 nei circoli che ammiravano san Girolamo. Godette di grande popolarità in Sicilia, dove molti suoi seguaci romani possedevano proprietà e dove si affermò un teologo locale, l’anonimo scrittore alle volte chiamato il «britanno siciliano». Il grande contributo di Pelagio al movimento fu di offrire una teologia che scagionava l’ascetismo cristiano dall’accusa di manicheismo, evidenziando la libertà dell’uomo di scegliere il bene in virtù della natura donatagli da Dio.
Non sembra che Pelagio fosse molto interessato alla dottrina del peccato originale; il rifiuto della trasmissione del peccato originale, a quanto pare, fu introdotto nel pelagianesimo da Rufino il Siro che influenzò Celestio, seguace di Pelagio.
Nel 409, o 410, quando Roma fu minacciata dai goti, Pelagio e Celestio lasciarono l’Italia per l’Africa, da dove Pelagio si trasferì presto in Palestina. Celestio fu in seguito accusato da Paolino di Milano di negare la trasmissione del peccato di Adamo ai suoi discendenti. Fu condannato dal concilio di Cartagine nel 411 e si rifugiò a Efeso. Poco dopo sant’Agostino iniziò a predicare e a scrivere contro la dottrina pelagiana, anche se continuò a trattare Pelagio con rispetto fino al 415. Quell’anno Pelagio fu accusato di eresia dal prete spagnolo Orosio, che era stato inviato da Agostino a Betlemme per incontrare Girolamo. Pelagio riuscì tuttavia a difendersi in un sinodo diocesano a Gerusalemme e in un sinodo provinciale a Diospolis (Lydda). I vescovi africani a ogni modo condannarono Pelagio e Celestio in due concili, a Cartagine e a Milevi, nel 416, e convinsero papa Innocenzo i (410-417) a scomunicarli. Celestio si recò a Roma e colpì a tal punto il successore di Innocenzo, Zosimo (417-419), da fargli riaprire il caso. I vescovi africani rimasero fermi sulle loro posizioni e nel concilio di Cartagine, il 1º maggio 418, stabilirono nove canoni, affermando in termini perentori la cosiddetta dottrina “agostiniana” della caduta e del peccato originale. Nel frattempo, il 30 aprile, l’imperatore Onorio (395-423), forse su pressione dei vescovi africani, emanò un decreto imperiale che denunciava Pelagio e Celestio. Poco dopo papa Zosimo si pronunciò contro di loro e con la sua Epistola tractoria (418) riaffermò il giudizio del suo predecessore.
Ma lo stesso Pelagio era poco incline a continuare la lotta. Scompare dalla storia e da quel momento non si sa più nulla di lui. Trovò comunque un nuovo difensore in Giuliano di Eclano, che condusse un dibattito letterario molto aspro con Agostino, concluso solo con la morte di quest’ultimo nel 430. Nel 429 Celestio si era rivolto a Nestorio affinché intercedesse per lui presso papa Celestino i, ma fu condannato, insieme ai suoi sostenitori, come lo stesso Nestorio, nel concilio di Efeso del 431. Le dottrine identificate da quel momento in poi come pelagiane continuarono a trovare buona accoglienza in Britannia, dove fu necessario l’intervento di Germano d’Auxerre per sradicare l’eresia, mentre in Gallia il dibattito sulla grazia diede vita al movimento chiamato in modo fuorviante “semipelagianismo”. Consisteva nel rifiuto della dottrina estrema della predestinazione di Agostino, senza peraltro approvare Pelagio. La controversia continuò in Gallia durante il v secolo e una formula teologica soddisfacente fu raggiunta solo nel secondo concilio di Orange, nel 529, grazie all’influenza di Cesario di Arles. Ciononostante il pelagianesimo riapparve continuamente nel medioevo, per riesplodere di nuovo con la Riforma. 
L'Osservatore Romano